Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
celesti, dopo un acerbo e lagrimoso strido chiamò a sè un suo fidatissimo servo che secondo la costuma di quei tempi serbava sempre il veleno, e gli disse: – Piglia la mia coppa de l’oro e porta questo veleno a Cirta a la reina Sofonisba, e le dirai: io più che volentieri il marital nodo averei servato e la prima fede a lei data, ma che il signor del campo in poter di cui io sono me lo vieta. Io ho tentate tutte le vie possibili per far che mia consorte e reina restasse, ma il comandatore e i comandi sono stati sì duri e forti che forzato sono d’offender me stesso e d’esser del mio mal ministro. Il veleno le mando con così dolenti pensieri come io so bene ed ella il crede e tu in parte veduto hai. Questa sola via le resta a servarsi da la servitù romana. Dille che ella pensi al valor del padre, a la degnità de la sua patria e a la maestà reale dei dui regi stati suoi mariti, e che faccia ciò che più convenevole a lei pare. Va e non perder tempo per via. – Partissi il servo e Masinissa come un battuto fanciullo piangendo si rimase. Gionto il messo a la reina e a quella la fiera ambasciata esposta e datole la coppa con il veleno, attese ciò che ella li direbbe. Pigliò la reina la coppa e il veleno e al messo disse: – Come io averò in questa coppa d’oro bevuto il veleno, tornerai al tuo signore e gli dirai che io volentieri accetto il suo dono, poi che altro non ha potuto il marito a la moglie mandare; ma molto meglio morta sarei innanzi a queste funebri nozze. – Nè altro al messo dicendo, prese la coppa e dentro il veleno vi distemperò, e quella a la bocca postasi, intrepidamente tutta la bebbe, e bevutola al messo essa coppa rese, salendo sovra un letto. Quivi quanto più onestamente puotè le vestimenta sue a torno a sè compose, e senza lamentarsi o mostrar segno alcuno d’animo feminile animosamente la vicina morte attendeva. Le sue damigelle che a torno le stavano tutte dirottamente piangevano, di maniera che per il regal palazzo il pianto si sentì e il romor si levò grandissimo. Ma poco stette Sofonisba che vinta da la vertù del veleno se ne morì. Il messo ritornò a Masinissa con questo sì fiero annunzio, il quale pianse assai e fu spesse fiate vicino, se stesso con le proprie mani occidendo, a seguitar l’anima de la sua infinitamente da lui amata Sofonisba. Ma intendendo queste cose, il valoroso e saggio Scipione, a ciò che il feroce e pien di passione suo Masinissa contra se stesso non incrudelisse o altro disordine non facesse, quello a sè chiamato, con dolcissime parole quanto più puotè consolò, e poi amichevolmente riprese che così poca fede in lui avuto avesse. Il seguente giorno poi a la