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fosse, tu, Sofonisba, liberamente mia rimarresti, perciò che con Lelio averei trovato mezzo di salvarti. Ma certamente, se Scipione vedesse una volta Sofonisba e un poco piegasse gli occhi a la sua incredibil bellezza, io non dubito punto che egli di lei e di me non si movesse a compassione e non giudicasse che ella meritasse restar reina non solamente di Numidia ma d’ogn’altra provincia. Or che so io se egli la vedesse che di lei non s’innamorasse e per sè quella togliesse? Egli è pur uomo come gli altri, ed impossibil mi pare che a sì fatta beltà non intenerisse quella durezza de l’animo suo. Ma oimè, che parlo? che vaneggio? Veramente io m’avveggio bene che, come proverbialmente si dice, io canto a’ sordi, e a’ ciechi voglio insegnar che cosa siano i colori e come distinti, ed eglino che son nati ciechi come impareranno? Misero me e dei miseri il più misero! Ecco che Scipione domanda Sofonisba come cosa appartenente a lui, perciò che disse quella esser preda e parte de le spoglie dei soldati romani. Che debbo fare? darò io Sofonisba a Scipione? Egli la vuole, egli mi costringe, egli essorta e mi prega; ma io so bene quanto in me ponno l’essortazioni sue e sotto le preghiere che cosa giace. Adunque io Sofonisba in sue mani metterò? Ma prima il sommo Giove le sue fiammeggianti saette in me dirizzi e nel profondo de l’inferno mi folgori; prima s’apra la terra e m’inghiotta, prima sia il corpo mio a brano a brano in mille pezzi stracciato e divenga cibo di fere selvagge ed èsca di corbi ed avoltori, che io mai tanta e sì empia sceleraggine commetta e rompa la fede che con giuramento ho promessa. Oimè, che dunque farò io? Egli pur ubidir mi conviene, e a mal mio grado far ciò che l’imperador de l’essercito comanda. Lasso, che a questo pensando io moro. Adunque per minor male e per serbarti quanto t’ho promesso, o mia Sofonisba, tu morirai e col mezzo del tuo caro marito fuggirai il giogo de la vera servitù romana, perchè così al crudo Giove piace e mi astringono i miserabili cieli che io del mio male sia il ministro. Così, o vita mia, quanto per me si fa, solamente è fatto per mantenerti la fede che ultimamente ti confermai. – E pensando mandarle il veleno, venne di nuovo in tanta furia, e tanto lo sdegno in lui s’accese che pareva forsennato, e come se Sofonisba dinanzi avuta avesse, così seco parlava, così le diceva le sue passioni e con lei si lamentava. Piangendo poi buona pezza dirottamente, in parte sfogò il suo dolore, non perciò che totalmente restasse libero. Onde cominciò di nuovo a far chimere e farneticare. Quando io penso