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chiuda, acciò che il vivere che qui teco m’è negato mi sia tra l’ombre concesso. E quale, o Dio buono, sarà nei Campi Elisi tra quegli spiriti più di me beato, se io teco potrò per l’ombrose selve degli odorati e verdi mirti andarmene spaziando? Quivi i nostri amari e dolci amori insieme senza impedimento niuno più volte raccontaremo, rammentando le cose passate, gioiendo del diletto e sospirando de la pena. Quivi non sarà già il rigido e severo di marmo Scipione, che le passioni amorose non cura e per questo a le mie acerbe pene non ha compassione, non avendo mai provato cosa sia amore. Egli alora con le sue troppo crudel parole non verrà già a persuadermi che io ti lasci o che io ne le mani dei romani ti metta e sia cagione de la tua miserabile durissima servitù. Egli non mi garrirà già che io sì ferventemente ti ami. Noi staremo pure senza sospetto di lui o d’altri che ne possano separare e la nostra dolcissima compagnia dividere. Deh, avessero voluto gli immortali dèi che egli ne l’Affrica non fosse passato già mai, ma che sempre in Sicilia, in Italia e ne le Spagne dimorato si fosse. Ma che dico io, smemorato e pazzo che sono? Se egli in Affrica navigato non fosse e fatta la guerra contra Siface, come averei io mai veduto la bella Sofonisba, la cui bellezza ogn’altra bellezza avanza, la leggiadria è senza pare, la grazia indicibile ed inestimabile, i modi rari ed incomparabili e il tutto che è in lei non si può con parlar umano agguagliare? Se Scipione qui venuto non fosse, come ti averei, o mia cara speme ed ultimo termine dei miei desii, conosciuta? Certamente nè tu mia moglie saresti, nè io tuo marito divenuto sarei. Almeno sarebbe questo, che tu ora non saresti in tanti affanni come ti ritruovi, sapendo che la vita tua degnissima di lungo e felice termine è su la bilancia, se viva dèi restare o no; anzi è pur conchiuso che se tu viva resti, che a’ romani in preda sii data. Ma tolgano gli immortali dèi che tu del popolo romano diventi preda. E chi potrà creder già mai che Scipione in una medesima cosa a me doni la vita e di quella mi spogli? Non mi donò egli la vita essendomi stato la verissima cagione di farmi andar a Cirta, ove la vita mia che è la bellissima Sofonisba ritrovai? E senza lei, lasso me, che fòra starmi in questa angoscia e penace vita? Ma, misero me, non mi spoglia egli de la vita e la morte mi dona volendo Sofonisba in suo potere? Oimè, perchè subito dopo che Siface fu preso non andò egli in Italia, od almeno perchè non si ridusse in Sicilia? Perchè non menò egli Siface a Roma a presentar così glorioso spettacolo del re de la Numidia al suo popolo romano? Se Scipione qui non