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debito, devesseno multiplicar a beneficio del commune. Restò di lui un nipote, figliuolo d’un suo figliuolo, il quale essendo giovine e ricchissimo viveva molto splendidamente. Andando egli un giorno a diporto per la città, vide una bellissima giovanetta di circa quindici anni, la quale parve a Luchino, – chè così egli aveva nome, – la più bella, la più gentile ed avvenevole che veduta avesse già mai. E non sapendo levarle la vista da dosso, sì fieramente di lei s’accese che, nel partir che fece da lei, conobbe che in effetto non era più in libertà e che il cor suo era rimaso negli occhi de la bella fanciulla. Cominciò adunque, gioiendo mirabilmente de la vista di lei, a passarle molte fiate il dì dinanzi la casa, e quando la vedeva affettuosamente salutarla; a cui ella onestamente rispondeva e rendeva il saluto, non pensando a malizia nessuna. Ma non passò molto che la giovanetta, ancor che semplice fosse, s’accorse molto bene a che fine Luchino la salutava e sì spesso le passava dinanzi facendole la rota del pavone. Onde cominciò rade volte a lasciarsi vedere, e se pur talora Luchino a l’improviso sovragiungeva e la salutava, ella faceva vista nol sentire, a con gli occhi bassi a terra faceva suoi lavori o ragionava con le sue compagne. E se da' 'lontano vedeva venir Luchino, si ritirava in casa fin ch’egli fosse passato via. Accortosi l’amante di questi contegni di quella, si trovò molto di mala voglia. È consuetudine ne la patria mia che un giovine innamorato, trovandosi in mano un mazzo di fiori, ora di gelsomini, ora di cedri, di naranci a simili fiori, di garoffoli od altri che porta alora la stagione, incontrando per la strada od in porta la sua innamorata, a quella senza rispetto veruno lo donerà; ed ella medesimamente quei fiori che in seno o in mano si troverà avere, al suo intendiò darà. Nè vi meravigliate di questo vocabolo genovese, perciò che secondo voi dite: – La tal donna ha per «amante» il tale, – le donne nostre, che schiettamente parlano la lingua genovese senza mischiarvi vocaboli strani, sogliono dire: – Il tale è il mio intendiò<nowiki>; – che anco usò messer Giovanni Boccaccio ne la novella di fra Rinaldo e di madonna Lisetta da ca’ Quirina, ben che alquanto il mutasse, quando la buona donna che poco sale aveva in zucca a la commare disse: – Commare, egli non si vuol dire, ma l’«intendimento» mio è l’agnolo Gabriello. – Ma torniamo a l’infiammato Luchino, il quale miseramente si struggeva veggendo quanto la giovane, che Gianchinetta era chiamata, se gli mostrava ritrosa. Aveva egli un giorno un bellissimo mazzo di garoffoli fuor di stagione, perchè ci sono assai che con arte gli