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Fregosa e questionandosi di che sorte sia l’amor del geloso, dopo molte cose da molti dette, messer Lodovico Misono, filosofo e medico eccellente, fece sovra questo un accomodato discorso ed insiememente narró una novelletta. Onde avendo io il suo ragionamento e la novella descritto e con le mie novelle accompagnato, ho voluto il tutto metter sotto il vostro nome, a ciò resti al publico come testimonio de la nostra cambievole benevoglienza e de l’amor mio verso tutta casa vostra. State sano.
Quando s’è, signora mia, detto e ridetto, io non conosco in questa nostra vita cosa più pestifera a l’uomo e a la donna com’è il morbo de la gelosia, perciò che dove egli s’attacca discaccia subito ogni contentezza e v’introduce ogni male; e poi che voi imposto m’avete ch’io dica il mio parere circa se si può amar senza gelosia e se chi è geloso o gelosa ama, io vi dirò liberamente ciò che me ne pare e quanto ne sento, sottomettendomi al giudizio di chi più sa e forse ha di me meglior parere. Dico «parere» e non «giudicio» o «sentenza», perchè se altri diranno la cosa non star così, che forse potrebbero dir la verità, non potranno almeno ragionevolmente dire che questo non sia il mio parere, affermando io che così mi pare. Dico adunque con ogni debita riverenza che a me pare che quelli che tengono che amore senza gelosia non possa essere, non abbiano buona openione, anzi che grandemente errino, ancor che cotal openione sia nel petto di molti tanto radicata che a sbarbarla ci voglia la forza d’Ercole. Onde saper devete che in quei cori ove gelosia s’annida non può in modo alcuno vero amore albergare, perciò che non può con effetto durar amore ove egli non ritruovi cibo convenevole per nodrirsi. E chi lo ciba, lo mantiene e lo nudrisce credo io che sia la confortatrice e sollevatrice d’ogni afflitto e tribulato, che si chiama «speranza». Per questo tutto quello che danneggia e guasta la bella vertù de la speranza è mortal nemico e fiero guastatore de la conservazion de l’amore. E che cosa è questa gelosia? Ella in vero è un gelato timore che i meriti e la vertù d’altri, che a noi par che sormonti e vinca il nostro valore, non ci levino fuor de l’animo de la donna amata,