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aveva qualche cosa de le piaghe di san Francesco, dei miracoli di santo Antonio da Padova o di santo Buonaventura, o qualche bel fioretto di santa Chiara. Aveva anco cose assai del Testamento vecchio, del nuovo e de la vita dei santi padri, e secondo i luoghi e auditori, ora una istoria ed ora qualche detto morale esponeva. Sforzavasi praticar con gli uomini quanto meno poteva, per dubio che da loro non fosse a lungo andar conosciuto; con le donne, perchè sono più semplici e non tanto scaltrite, era più assiduo, e secondo che trovava il terreno o molle o duro, con i suoi stromenti s’ingegnava cavarne qualche costrutto; e di modo faceva sotto acqua i fatti suoi che restava con tutti in buona openione. Sapete che proverbialmente da tutti si dice: «Chi è tristo e buono è tenuto, può far del male, chè non gli è creduto». Astretto dunque costui da l’amistà del baron normando, spesse volte andava a trovarlo ed era sempre albergato nel castello, ove secondo il costume era una camera per lui ben in ordine. E praticando assai domesticamente in casa e veggendo di continovo la bella moglie del barone, fece del «compar pugliese» e di modo di lasciò avviluppar ed infiammar da l’amor di quella, che mai non poteva aver nè requie nè riposo se non tanto quanto la vedeva e ragionava con lei. Era la donna bellissima, con dui occhi in capo che di continovo scintillavano come due fulgentissime stelle, e quelli di sorte reggeva e così dolcemente girava che era quasi impossibile d’affisar la vista nel lor vago splendore ed ivi non restar preso come pesce a l’amo. Era poi soavissima parlatrice, con certo modo troppo gentile e affabile da intertenere chiunque si metteva seco di qual si sia cosa a divisare, perchè secondo il grado e professione di colui col quale ragionava, così ella saggiamente o proponeva qualche bella cosa o a la proposta gentilmente rispondeva. Messer lo frate che era scaltrito ed aveva passato più d’una volta sotto l’arca di santo Longino, e di già udita in confession la donna e conosciutala sovra ogni credenza onestissima, si trovava a modo d’un augelletto invischiato ne l’amorosa pania e non sapeva in maniera alcuna distrigarsi, onde viveva in pessima contentezza senza saper che farsi. Egli aveva usate l’arti che con simil donna gli erano parute a proposito, ma giovamento alcuno non gli era riuscito già mai. Ella se pur s’avvide che il frate fosse di lei innamorato, alcun sembiante mai non ne fece; ma secondo il suo solito viveva e a tutti dimostrava onestamente buon viso, ed assai domesticamente talora col frate scherzava. Onde ei prese pur un giorno tanto d’ardire che sotto