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Morenes. Di che egli, entrato in còlera grandissima, s’armò e fece armar gli scrivani e servidori suoi, e di lungo se n’andò a la casa de l’abbate, che, desinando la famiglia, giuocava al tavoliero con un gentiluomo che seco aveva desinato. Entrato Morenes in sala, cominciò a dire le più villane parole a l’abbate che sapeva, ma non s’accostava a la tavola. Conobbe l’abbate la viltà del tesoriero, che non averebbe ferito una mosca, e gli diceva: – Signor tesoriero, voi sète mal informato. Io vi son buon amico e la donna vostra io la tengo onestissima. Beviamo e lasciamo andar queste ciancie. – Pur alora Morenes bramava, nomandolo traditore, di che l’abbate si rideva. Si partì Morenes, parendogli d’aver cacciati gli inglesi di Bologna. Si deliberò l’abbate di far una beffa al tesoriero, e un giorno presi alcuni scolari e tutti i suoi servidori, essendo ciascuno armato, andò a la casa del tesoriero, il quale subito se ne fuggì in alto a nascondersi, e i suoi di casa chi andò in qua e chi andò in là. Mentre che gli scolari saliti di sopra facevano romore con l’arme, l’abbate con la donna fece un fatto d’arme amoroso, il qual finito, scesero gli armati a basso e veggendo la donna che faceva vista di piangere, le dicevano che deveva dar un’accusa al marito per averla svergognata. Partito che fu l’abbate con i suoi, il tesoriero tutto tremante venne a basso e se n’andò a la giustizia, a la quale diede l’accusa contra l’abbate, dicendo che a mano armata gli era entrato in casa per rubargli i danari del re. L’abbate fece rivocar la lite al parlamento di Parigi ed ivi se n’andò. Morenes andò a Fontanableo per aver favore da monsignor di Orliens. E conosciutosi in corte che era uomo di poca levatura, alcuni che volentieri viveno a le spese del compagno si misero con lui, promettendogli far e dir gran cose, e seco a Parigi se n’andarono. Ora essendo poi tutte due le parti dinanzi ai signori consiglieri, e facendo il tesoriero dal suo procurator proponere come monsignor l’abbate gli era ito a la casa per rubargli il tesoro del re, e in questo con molte parole aggravando il caso e chiedendo a quei signori che ne facessero severissima giustizia, fu poi detto a l’abbate ciò che rispondeva a sì enorme e vituperoso delitto come Morenes gli imponeva. Alora l’abbate, dette alcune cose in escusazione de l’innocenzia sua e mostrando che non era ladrone, disse sorridendo: – Signori miei, se il conno de la moglie di Morenes è segnato del cunio del re, io vi confesso esser quivi ito per impatronirmene. – Questa piacevol risposta risolse il tutto in riso e più del caso non si parlò.