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che io resti viva. Nè creder già, signor mio, che tante spese da te inutilmente per me fatte, tante feste, tanto tempo che' 'perduto hai e tante altre cose quante già per me indarno facesti, mi sia smenticata, nè che altresì abbia dopo le spalle gettata la mia crudeltà, l’ingratitudine e la poca stima che di te ho fatto, perciò che tutte queste cose ho io dinanzi agli occhi de la mente mia, che mi sono di continovo un mordace verme intorno al core, onde tanta pena ne ricevo che il morire sarebbe assai minore. Pertanto io ti confesso il mio gravissimo errore e umilmente perdono te ne chieggio, e ti supplico che per umil serva degni accettarmi, chè per l’avvenire ad ogni tua voglia ubidientissima mi troverai, rimettendo io ne le tue mani l’anima e la vita mia. E qual maggior ventura può egli l’uomo avere che vedersi il nemico suo prostrato dinanzi ai piedi gridante mercè? Questo ora vedi tu, signor mio, perciò che la tua buona sorte vuole che quanto contra te commisi già mai, ora con doppia pena io paghi. Se questi miei che in chiesa sono non mi vedessero, io mi gettarei a terra e gridando misericordia ti basciarei mille volte i piedi. Eccomi adunque qui tutta tua: fa di me ciò che più t’aggrada. Se per vendetta de le passate tue fatiche brami ch’io mora, dammi con quella spada che cinta porti, di tua mano la morte, chè ad ogni modo, se io non ho la grazia tua, vivi sicuro che in breve la mia vita finirà. Ma se favilla del mal guiderdonato tuo amore che già mi portasti ancor in petto porti, se tu quel magnanimo prencipe sei che tutto questo regno grida, degnati aver di me pietà. E se forse saper desideri come sia nasciuta questa mia subita mutazione e onde creato questo mio ferventissimo amore verso te, io lo ti dirò. Il mio marito, che più di sè t’ama e che tanto t’è ubligato, questi dì mi fece una predica de le tue lodi, e tanto ti commendò che gli occhi miei, che accecati erano, alora s’apersero, onde così fervidamente di te mi accesi e sì mi sentii divenir tua che più in poter mio non sono. Per questo qui venuta sono a manifestarti il mio disire, a ciò che una de le due cose ne segua, cioè o che io viva tua o ch’io mora. Ne la tua mano adunque sta la vita e la morte mia. – E dicendo questo lasciò cader un nembo di lacrime, e da’ singhiozzi impedita si tacque. Mentre che la donna parlò, il marchese stette cheto ad udirla e mille e mille pensieri tra sè fece. Egli la vedeva più vaga che mai, e il dolore in lei accresceva beltà e grazia, di modo che veggendola disposta a far tutto quello che egli comandarebbe, si sentì destar il concupiscibile appetito, che gli persuadeva che