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l’aurea testa, quella serena fronte di pura neve, le nere e arcate ciglia cui sotto dui folgoranti e mattutini soli fanno invidia a Febo, il condecevol e profilato naso, le guancie che due colorite rose rassembrano, quella rosata bocca a che sotto dui finissimi rubini perle orientali nasconde, la candida e rotonda gola, il mento bellissimo, l’eburnee spalle, il rilevato e marmoreo petto, quelle due mammelle piene di mele ibleo, le belle braccia, le bianchissime e quanto convien lunghe e sottili mani, la persona tutta leggiadra e snella, quei piccioli piedi che a pena la terra toccano e tutto quello ch’io in quel divinissimo viso contemplo, mi promettono pure ch’ella sia donna. E se è donna, se è così bella, se è così leggiadra, come è cruda?' 'come è fiera? Oimè, quanto male stanno insieme estrema bellezza e somma crudeltà! Chè se fosse pia, qual mai parte in donna desiderar si potrebbe ch’in lei non fosse? Ma ella dirà forse che io nel mio giudicio troppo m’inganno, perciò che quella parte che io chiamo crudeltà è vera onestà e modestia e desio d’onore, e non fierezza. Ed io che cosa men che onesta le chiedei già mai? che altro volli io da lei se non lo splendore di quei suoi begli occhi? che altro le ho io ricercato se non che per servo m’accettasse? che fosse contenta farmi quel favore che onestamente far mi poteva, o che almeno degnasse che io le fossi servidore, ch’io l’amassi e la servissi? Oimè, signora Lionora, e qual maggior crudeltà può al mondo essere che aver in odio uno che più assai che se stesso t’ama? uno che in altro mai non pensa se non in farti cosa grata, in servirti, onorarti e adorarti? Ben è vero il cognome che le dànno e al nome suo conforme, cioè che è una lionessa sdegnosa. Non è costei certo donna, ma è un’aspra e fierissima tigre, nè solamente è crudele, ma è sovra tutte l’ingratissime la più ingrata. Che giova a me, oggimai tre anni sono, aver ferventissimamente amata anzi adorata costei, aver perduto tanto tempo, tante volte giostrato, vigilate tante notti, sparse tante lagrime, sprezzate mille altre nobilissime donne e tante venture perdute? Che debb’io altro di lei pensare se non ch’ella brami il mio sangue e sommamente appetisca che io di me stesso divenga omicida? Ma ella non averà già cotesta contentezza, chè io mi delibero cacciarla fuor del mio core e divenir altr’uomo da quello che fin qui sono stato, essendo più che sicuro che io per costei sia divenuto favola del volgo. Egli non sarà già vero che io l’ami più. E perchè debbo amarla, se ella m’odia? – Così l’amoroso cavaliero, vinto e stracco de la crudeltà infinita de la sua sdegnosa donna e pentito di