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e mosse da la lascivia di molti atti che si fanno, lasciata la prima durezza, a poco a poco dal diletto sensitivo piegate, volontariamente poi agli sfrenati appetiti consentono. Arrogi a questo, Lucrezia mia, che a l’adultero consentito non hai per tèma del morire, ma per schifar infamia, perciò che alora il corpo solo a l’assassino lasciasti quando egli di metterti a canto nel letto uno svenato servo ti minacciò. Il padre tuo ed io d’ogni colpa ti assolviamo e liberamente giudichiamo che innocente sei. Nè il padre tuo ed io soli pronunziamo questa sentenza, ma Bruto e Valerio e tutti i propinqui nostri il medesimo affermano, pregandoti che la vita conservi mentre che ella è degna d’esser conservata. Chè nel vero, se tu di te stessa micidiale diverrai, non solamente il giudicio nostro parrà che tu falso stimi, ma la colpa che in te non è, che tu schifar sommamente disii, farai che ciascuno pensi che in te sia, e così colpevole sarai stimata. Ma dimmi per i dèi immortali: chi sarà che te innocente reputi, se tu, Lucrezia mia, te stessa nocente e consapevole fai e con supplicio mortale condanni? Se adunque vuoi quella esser tenuta che sei, e che il mondo come prima per specchio d’onestà ti riverisca ed onori, attendi a conservar la vita e deponi questi pensieri malinconici, il che facendo e te da la non meritata pena ed immatura morte e noi da eterno cordoglio libererai. – Questo detto, Collatino si tacque. Lucrezia veggendo che il marito taceva e più oltra non ragionava, fatto buon viso e rasciugati i begli occhi che di lagrime erano pregni, valorosamente al marito e a tutti quelli che presenti erano disse: – Non vogliate, padre mio onoratissimo e tu agli occhi miei più che la luce stessa caro, diletto marito mio, e voi parenti miei dolcissimi, vietarmi che io me stessa uccida, perciò che se l’innocente anima col ferro da queste macchiate membra non caccerò, che io più tosto abbia disiato l’infamia schifare che la morte, appo il volgo fede non acquisterò già mai. E chi crederà che il ribaldo e scelerato Tarquinio col minacciar di mettermi uno svenato servo a canto spaventata m’abbia e che io, che la morte non rifiutava, di quel timore fossi vinta, se ora esser così animosamente non provo? Rimarrà, oimè, una disonestissima macchia d’eterna infamia al nome mio e tale che non si potrà tor via. Mai sempre dirassi più tosto Lucrezia aver voluto adultera vivere che intatta e pudica morire. Non vedete voi che me non a la vita ma al vituperio conservar cercate? Attendete pur a la vendetta e fate che l’altre sicuramente possano dormire, e a me non vietate far quello che