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ascritta a Sesto Tarquinio, perciò che il peccato tanto è peccato quanto è volontario, e la mente sola è quella che pecca e non il corpo, eleggendo ella far il male. – Voi vederete, – disse Lucrezia, ciò che questo misfatto di Tarquinio merita e farete quanto vi parrà. Io ben che dal peccato m’assoglia, nondimeno da la pena assolver non mi debbo nè voglio. – E questo dicendo, lasciò cascar il pianto in grandissima abondanza. Il marito alora quasi piangendo così le disse: – Rasciuga, cara Lucrezia mia, le cadenti lagrime e non ti voler attristare ed affliggere per la violenza a te fatta, chè assai efficace argomento ci dimostri d’esser stata sforzata, poi che volontariamente, potendo il tutto celare, la cosa come è commessa da l’adultero manifesti. E chi saputo mai averebbe il successo del caso se tu dimostrato non l’avessi? Non era egli in arbitrio tuo di tacere? Questo che l’animo tuo sia mondo e netto ci fa amplissima fede. La tua passata vita non solamente negli occhi degli' '<nowiki>uomini, ma nei più segreti penetrali de la casa è sempre stata tale, che da tutti il titolo di pudicissima e di castissima porti. Ti sovvenga, Lucrezia mia, che questi dì passati essendo quello scelerato meco, che non in suoni, non in balli, non in mangiar o bere, non in altri lascivi giuochi o giovenili trastulli ritrovammo, ma a l’improviso ti sovragiungemmo che tu eri con le tue donzelle occupata nel cucire e far altri lavori donneschi, non aspettando perciò alora nè domestici nè stranieri. Quell’ora la vittoria ed il nome a te di pudicizia e castità partorì, chè avendo noi le nore del re tra mille giuochi scherzando e lascivamente motteggiando ritrovate ed in soverchi mangiari con le compagne loro occupate, tu a quelle fusti superior giudicata e a te la palma di perfettamente compita donna fu data. Ma discaccia da te il pensiero di morire e sta di buon animo, chè noi col favor dei dèi immortali cotanta ingiuria animosamente vendicaremo. E pensa a vivere, perchè tu che per forza gli abbracciamenti del superbo e scelerato giovine, mentre egli da te i nocivi e pestiferi a lui diletti si prendeva, sofferisti, a mano a mano la disiata vendetta vederai. Non volere, moglie mia carissima, col tuo innocentissimo sangue l’animo feroce di quello sanare al quale, da lui sforzata, il corpo e non la mente in poter lasciasti. Non t’è oramai chiara ed aperta la fiera crudeltà dei superbo re e dei crudeli e sceleratissimi figliuoli? non ti sovviene il fratello di Bruto nostro, che qui è, esser stato da questi fieri omicidi morto? E nondimeno egli d’una sorella del superbo re era figliuolo. Questi che il tuo corpo a mal tuo grado ha violato, quanti gabini ha egli anciso? quante