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date e rese salutazioni, fece che l’ingiuriante giovine con una fune al collo entrò alcuni passi in mare e con le braccia in croce umilmente quattro e cinque volte chiese perdono a Meguolo. L’imperadore poi, dopo molte parole, disse a Meguolo che questo atto di umiltà gli deveva bastare per sodisfacimento de l’ingiuria. A cui rispose Meguolo che non si terrebbe sodisfatto già mai se il cortegiano non aveva liberamente ne le mani; onde l’imperadore, astretto dai suoi, con le lagrime su gli occhi lo mandò suso un battello in galera. Tenevano tutti per fermo che l’ira di Meguolo non si devesse saziare se non con la morte de l’effeminato giovine, il quale, veggendosi andar in potere del suo armato nemico, come un fanciullo fieramente sferzato senza fine piangeva. E come fu in galera, piangendo tuttavia, s’inginocchiò avanti a Meguolo chiamando mercè. Il vittorioso Meguolo alzò un piede e con una pedata percosse il nemico nel volto sì fortemente che gli fece uscir il sangue dal naso e da la bocca, e riversarsi in terra. Fattolo poi levare, disse con alta voce, di modo che l’imperadore e tutti gli altri l’intesero: – Io nel principio che con queste galere cominciai a costeggiar queste contrade, comandai che a le femine non si desse nocumento; perciò tu devevi pensare che io non incrudelirei contra una vil feminuccia. – Alludeva Meguolo con queste parole a le lagrime dei cortegiano e al disonesto ufficio di quello. Lo rese poi a l’imperadore, il quale gliene rese grazie infinite e s’offerse dargli grandissimi doni. A cui egli rispose che non era venuto in quelle parti da sì lontano paese per cupidigia di sangue nè di roba, ma per sodisfar a l’onor suo e del nome genovese, al quale teneva aver integralmente sodisfatto. A la fine l’imperadore promise di dar un fondaco a la nazion genovese in Trebisonda con privilegi amplissimi, e che ne la facciata di quello farebbe intagliar tutto il successo di questa istoria; il che integralmente essequì. E con il console di Caffa fin che visse ebbe sempre buona intelligenza, chè alora Caffa, città nel Mar Maggiore, era nostra colonia. Fu adunque sempre amico nostro' 'questo imperadore, e dopo lui tutti gli altri, fin che Maometto imperadore di Costantinopoli l’imperio di Trebisonda soggiogò. Così adunque Meguolo a sè ed a la patria, vendicandosi, acquistò onore, e con i suoi compagni ricchissimo ritornò a Genova.


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