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persona, anzi dove poteva giovar a chiunque l’opera di lui ricercava, mai non si mostrava stracco. Avvenne che un giorno giocando con un favorito de l’imperadore, di cui era publica voce e fama che da l’imperadore era la notte come moglie adoperato, che Meguolo, perchè giuocavano a scacchi, diede scacco matto al giovine. Aveva esso Meguolo pazientemente sopportato mille ingiuriose parole che giocando il giovine gli aveva dette; ma veggendo che finito il giuoco non cessava di dirgli ingiuria, e insuperbito del favor de l’imperadore moltiplicava d’ingiuriarlo, a la presenza di molti cortegiani gli rispose senza còlera quanto gli pareva che a l’onor suo appartenesse, mostrando sempre nel suo parlar modestia nè parola fuor di proposito dicendo, se non quanto era da la conservazione de l’onor suo astretto. Il giovine cortegiano che non sapeva servar modo, ove deveva riconoscersi e non ingiuriar Meguolo, cominciò fieramente più di prima a disprezzarlo e dir non solamente mal di lui, ma vituperar disonestamente tutta la nazion genovese. A così enorme vituperio, non potendo più Meguolo sopportar l’insolenzia de l’effeminato giovine, gli disse ch’ei mentiva, e cacciò mano ad una daga che a lato aveva; ma dai circonstanti fu tenuto, e in quello il giovine gli diede un buffettone e subito si ritirò. Di questo atto molto adiratosi Meguolo così contra chi l’aveva ingiuriato come contra gli altri cortegiani che impedito l’avevano, essendo uomo molto geloso de l’onor suo e dotato di grandezza e generosità d’animo, deliberò non lasciar questa tanta offesa senza vendetta. E considerato i grandi oblighi che a l’imperador aveva, andò a parlargli. E narratoli il caso come era successo, lo supplicò che degnasse concedergli che a singolar battaglia potesse far conoscer al giovine che senza superchieria non era buono per avvicinarsegli a batterlo; che poi, come sperava, castigato quello, era per combatter tutti gli altri ad uno per uno. L’imperadore che amava più che gli occhi suoi il giovine e chiaramente conosceva che ne lo steccato averebbe voltato le schiene, si sforzò con parole assai mitigar l’ira di Meguolo ed a modo nessuno non gli volle dar licenza di combattere. Sdegnatosi fieramente il nostro genovese, e veggendo che l’imperador non faceva contra il giovine dimostrazione alcuna, anzi che lo mandava quando usciva del castello con molti soldati accompagnato, cominciò a dar ordine a le cose sue e levar tutte le robe che ne l’imperio di Trebisonda aveva ed il tutto ridurre a Genova. E non veggendo modo alcuno, per la solenne guardia che i nemici suoi facevano, di poter prender vendetta di nessun