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modo che il signore sommamente mostrava d’amarlo e l’aveva fatto ricchissimo. Ora parendogli poter del suo padron disporre come più gli piaceva, deliberò, se possibil era, di schiavo divenir libero, chè ancora che sin da' 'fanciullo avesse rinegato la fede cristiana e fosse stato secondo il costume turchesco circonciso, nondimeno ancora non aveva conseguita la libertà. Fatta questa diliberazione, apparecchiò un desinar molto sontuoso ed a la foggia lor tanto abbondante di vivande dilicatissime e d’ogni sorte che dava la stagione, quanto avesse potuto far apparecchiar il medesimo signore. Fatto l’apparecchio, invitò l’imperadore, il quale accettò l’invito e v’andò a desinare. Dopo che si fu mangiato e bevuto assai più del devere, perchè al bere il tiranno non servava legge maomettana, ma trangugiava ed incannava tanto vino che bene spesso s’inebriava, parendo al servo poter ottener dal signore l’intento suo, con accomodate parole gli espose il desiderio che aveva d’esser libero, supplicandolo umilmente che più tosto volesse usar l’opera di lui libero che servo. E conoscendo l’ingordigia ed avarizia de l’imperadore, gli fece portar dinanzi cinquanta mila ducati d’oro in oro. Udita questa domanda, il crudelissimo tiranno entrò in tanta còlera e sì accese in lui l’ira che, dato di mano ad un assai grosso e noderoso bastone d’olmo, non avendo rispetto che colui seco era stato da fanciullo nodrito e che era capitano famoso e per molte vittorie illustre, quello buttò furiosamente per terra e cominciò con gran fierezza a sonarlo col bastone dandogli mazzate da orbo, e tanto lo percosse e ripercosse e sì gli fiaccò la schiena, che egli si sentiva non poter più muover le braccia e con i piedi lo percoteva. Il misero servo tutto pesto e mezzo morto teneva pur gridato: – Signor mio soprano, io sono e sarò sempre tuo schiavo e con tutto il core ti ringrazio del conveniente e degno castigo che al mio peccato dato hai, perchè conosco che io maggior supplizio meritava. – Simil crudeltà anzi maggiore usò il perfido tiranno contra alcuni giovanetti tenuti da lui in luogo di femine, i quali pareva che amasse più che gli occhi suoi. Questi poveri fanciulli avevano bevuto del vino che al signor era avanzato, il che da lui inteso, gli, fece tutti senza pietà alcuna crudelmente morire. Con questa sua inudita crudeltà si rese a tutti i sudditi suoi così terribile che ciascuno di lui tremava. Molti ne fece morire per levar lor la roba, altri ammazzò per torgli le mogli, e per ogni minima occasione comandava che uno fosse ucciso. E se il carnefice sì tosto come averebbe voluto non si trovava o non