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seco vi era quell’altro dottissimo giovine, – giovine, dico, a par del signor Pietro, – messer Andrea Navagero. Fu quando a casa nostra in Verona vennero, del mese di gennaro, ed arrivarono la sera a le ventiquattro ore. Miei fratelli ed io secondo il costume nostro facemmo lor quelle grate accoglienze che per noi si seppero le maggiori. Invitammo subito alcuni gentiluomini a venirgli a tener compagnia, tra i quali venne messer Girolamo Fracastore nostro e dei dui ospiti amicissimo. Vedetelo là, il Fracastore, dico, che ora tutto solo se ne sta a contemplar le limpide e cristalline acque di questi fonti e forse compone alcuna bella cosa degna del suo sublime ingegno. Messer Gian Battista mio fratello, di sempre acerba ed onorata memoria, mi disse ciò che intendeva fare per ricreazion de la compagnia, a cui io risposi che mi rimetteva a lui. Si diede ordine che la cena fosse onorevole. Poi che gli osti nostri si furono a le camere loro cavati gli stivali e le vestimenta da viaggio, se ne vennero in sala ove ardeva un buon fuoco e si misero a sedere. Il Navagero cominciò a parlar col Fracastore, ed alcuni altri ed io ci intertenevamo col signor Bembo di varie cose ragionando. Messer Giulio mio fratello, perchè era cagionevole alquanto de la persona, presa licenza se n’andò via. In quello arrivò messer Gian Battista, la cui venuta fu cagione che il Navagero, lasciato il Fracastore, si ritirò a parlar seco. Erano quasi le due ore di notte quando io domandai se volevano cenare. Essi risposero che potevano ancora star una ora. Ed in questo ecco che si sentì picchiar molto forte a la porta, nè guari stette che venne di sopra un dei nostri servidori il quale al Bembo disse: – Signore, egli è di sotto un vostro parente che viene per visitarvi, e dice che anch’egli ha nome Pietro Bembo. – Sentendo questo il signor Bembo stette un pochetto sovra di sè; dapoi rivolto a noi altri disse: – Che buona ventura può aver condutto in qua questo vecchio? Egli suol aver la stanza in Vicentina ad un suo podere, e sono più di vent’anni ch’io nol vidi ancor che siamo stretti parenti. – Alora messer Gian Battista comandò che si accendessero duo torchi per andar a farlo venir su. Voleva il Bembo andargli incontra, ma noi nol sofferimmo; onde io ci andai e condussi il vecchio in sala, al quale il capo e le mani forte tremavano. Com’egli fu in sala, parlando schietto il parlar veneziano dei nicoletti, abbracciò il Bembo dicendo: – Lodato sia Iddio, Zenso mio, che avanti ch’io mora ti veggio, la Dio mercè, sano, (si chiamano l’un l’altro Zenso se hanno un medesimo nome), e con questo lo basciò in fronte lasciandogli un poco di