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sconsolata moglie non mi dà il core di poterlo dimostrare, ma pensilo chi veramente ama e s'imagini a sì orrendo spettacolo ritrovarsi. Ella miseramente e senza pro affliggendosi, il pianse assai, e molte fiate l'amato nome invano chiamando, piena d'angoscia sovra il corpo del marito si lasciò tramortita cadere, e buona pezza isvenuta stette. Il frate e Pietro oltra modo dolenti tanto fecero che ella rivenne. Rivenuta che fu, s'aggruppò in una le mani ed allargato il freno a le lagrime, tante e tante ne versò quante mai femina spargesse, e basciando il morto corpo diceva: – Ahi dolcissimo albergo di tutti i miei pensieri e di quanti piaceri mai abbia goduto, caro ed unico mio signore, come di dolce fatto mi sei amaro! Tu sul fiore de la tua bella e leggiadra giovanezza hai il tuo corso finito, nulla curando la vita che tanto da tutti viene stimata. Tu sei voluto morire quando altrui il vivere più diletta, e a quel fine giunto sei ove a tutti o tardi o per tempo arrivar conviene. Tu, signor mio, in grembo di colei sei venuto a finir i giorni tuoi, che sovra ogni cosa amasti e da la quale unicamente sei amato, ed ove quella morta e sepellita esser credevi, volontariamente sei venuto a sepellirti. Già mai tu non hai pensato aver queste mie amarissime e veracissime lagrime. Già non ti persuadevi andar a l'altro mondo e non mi vi ritrovare. Io son certissima che non mi vi ritrovando, che tu qui tornato sei a veder se io ti vengo dietro. Non sento io che lo spirito tuo qui d'intorno vagando se ne va e già si meraviglia anzi si duole che io tanto tardi? Signor mio, io ti veggio, io ti sento, io ti conosco, e so che altro non attendi se non la venuta mia. Non temere, signor mio, non dubitare che io voglia qui senza la compagnia tua rimanere, con ciò sia che senza te la vita assai più dura e vie più angosciosa mi sarebbe che ogni sorta di morire che l'uomo imaginar si possa, chè senza te io non viverei, e se pur paresse altrui che io vivessi, quel vivere mi sarebbe un continovo e tormentoso morire. Sì che, signor mio caro, sta sicuro che io tantosto verrò a starmi sempre teco. E con qual compagnia posso io andar fuora di questa misera e travagliata vita, che più cara e più fidata mi sia, che venirti dietro e seguitar i tuoi vestigi? Certo, che io mi creda, nessuna. – Il frate e Pietro che a torno l'erano, vinti da infinita compassione piangevano, e come meglio sapevano s'ingegnavano di darle alcun conforto; ma il tutto invano. Le diceva fra Lorenzo: – Figliuola mia, le cose fatte esser non può che fatte non siano. Se per lagrime Romeo suscitar si potesse, noi ci risolveremo tutti in lagrime per aiutarlo; ma non