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veggio voi, consorte mia dolcissima, viva, che morta credei e tanto amaramente ho pianto. E veramente, moglie mia soavissima, in questo caso debbio ragionevolmente allegrarmi con voi. Ma doglia inestimabile e dolore senza pari patisco, pensando che tantosto più non mi si concederà di vedervi, udirvi e starmi vosco godendo la vostra dolcissima compagnia tanto da me bramata. È ben vero che la gioia di vedervi viva avanza di gran lunga quella doglia che mi tormenta, appropinquandosi l'ora che da voi dividermi deve; e prego il nostro signor Iddio che gli anni i quali a l'infelice mia gioventù leva, aggiunga a la vostra, e vi conceda che lungamente con più felice sorte di me possiate vivere, chè io sento che già la vita mia finisce. – Giulietta sentendo ciò che Romeo diceva, essendosi già alquanto rilevata, gli disse: – Che parole son coteste, signor mio, che voi ora mi dite? questa è la consolazione che volete darmi? e da Mantova qui sète venuto a portarmi sì fatta nuova? che cosa vi sentite voi? – Narrolle alora lo sventurato Romeo il caso del veleno che bevuto aveva. – Oimè, oimè, – disse Giulietta, – che sento io? che mi dite voi? Lassa me! adunque a quello che io odo, non v'ha fra Lorenzo scritto l'ordine che egli ed io insieme avevamo messo? che pur mi promise che il tutto vi scriveria. – Così la sconsolata giovane piena d'amarissimo cordoglio, lagrimando, gridando, sospirando e quasi di smania fuor di sè andando, contò minutamente ciò che il frate ed ella ordinato avevano a ciò che ella non fosse astretta a sposar il marito che il padre voleva darle. Il che udendo Romeo, accrebbe infinitamente dolore agli affanni che sofferiva. E mentre che Giulietta fieramente del lor infortunio si querelava e chiamava il cielo e le stelle con tutti gli elementi crudelissimi, vide Romeo quivi il corpo del morto Tebaldo che alcuni mesi innanzi egli ne la zuffa, come già intendeste, aveva ucciso. E riconosciutolo, verso quello rivolto disse: – Tebaldo, ovunque tu ti sia, tu dèi sapere che io non cercava d'offenderti, anzi entrai ne la mischia per acquetarla e ti ammonii che tu facessi ritirar i tuoi, chè io ai miei averei fatto depor l'arme. Ma tu che pieno eri d'ira e d'odio antico, non curasti le mie parole, ma con fellone animo per incrudelir in me mi assalisti. Io da te sforzato e perduta la pazienza, non volli ritirarmi un dito indietro, e diffendendomi volle la tua mala sorte che io t'ammazzai. Ora ti chieggio perdono de l'offesa che al corpo tuo feci, e tanto più che io già era tuo parente divenuto per la tua cugina da me già per moglie sposata. Se tu brami da me vendetta, ecco che conseguita l'hai. E