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dopo noi. Chè se i casi e strani accidenti e fortunevoli che la varietà de la fortuna produce si scrivessero, chiunque gli udisse o leggesse, se egli più che trascurato non fosse, come potrebbe fare che qualunque ammaestramento non ci pigliasse e a se stesso con l’altrui danno non facesse profitto? Medesimamente i nostri figliuoli ed i nipoti e tutta la seguente posterità con la lezione de le cose passate o emendarebbe gli errori suoi se in quelli fosse caduta, o vero megliore nel ben operare diverria, essendo commun proverbio che più commoveno gli essempi che le parole. Per questo io che di mia natura desidero giovar a tutti, essendo accaduto ne la città di Napoli un mirabil caso de la qualità che dal signor Annibale Macedonio ho inteso, m’è paruto non disdicevole d’aggiungerlo a l’altre mie novelle, a ciò che i giovini incauti che così di leggero si lasciano appaniare nel visco amoroso, e sovente senza pensarvi troppo correno a metter ad essecuzione ciò che detta loro l’appetito dissordinato e giovinile, imparino a por il freno a l’appetitose voglie e più temperatamente amino, imparando a l’altrui spese di quanto danno il non regolato affetto sia cagione. Pensando poi a cui io la devessi donare, non volendo che alcuna de le mie novelle resti senza tutela di padrone o padrona, e sovvenutomi che a tutti i piaceri da voi, la nostra cortese mercè, ricevuti non è mai stato sodisfatto, ancor che voi più tosto cerchiate far piacere altrui ed utile senza speranza di ricever ricompensa, ho voluto, con questa novella a voi da me donata e al nome vostro scritta, che il mondo conosca la gratitudine de l’animo mio, perciò che non potendo io con i beni de la fortuna sodisfarvi, almeno con l’opere de l’ingegno in qualche particella vi sodisfaccia. Degnate adunque per ora accettar da me questo picciolo dono, e come sempre fatto avete, tenermi nel numero dei vostri. Feliciti il nostro signor Iddio tutti i vostri pensieri.

L’abbate Gesualdo vuol rapir una giovane e resta vituperosamente da lei ferito, ed ella saltata nel fiume s’aiuta.


Si ritrovavano in Lodeggiana, nel luogo che si chiama il «Palazzo» vicino a l’Adda, molti gentiluomini che erano venuti a visitar la gentilissima e molto illustre eroina la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia, padrona del detto luogo, e ragionavano di