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indicibile esser si vede quell’amplissimo e di venerabili vecchi ripieno senato, del quale si potrebbe con verità affermare ciò che del senato romano Cinea ambasciadore di Pirro re di Epiro era solito dire, cioè che era un senato di molti regi. Ma io non mi mossi già a scrivervi per empir il foglio de l’eccellenze infinite che sono in quella eccellentissima città, ma presi la penna in mano per darvi nuova come da Vinegia era tornato a Milano per Dio grazia con buona sanità. E perchè mi saria paruto cascar in grande errore a ritornar da così ricca città senza recar cosa alcuna di nuovo, v’ho portato una meravigliosa novella che io essendo in Vinegia intesi e subito scrissi. Trovai quivi il gentilissimo messer Galeazzo Valle vicentino, uomo che in Levante per quei mari lungamente ha navicato, e suole spesso cantando a l’improviso ne la lira dar agli ascoltanti grandissimo piacere con le sue belle invenzioni in diverse rime. Eravamo un dì nel palazzo grande di casa Foscari col magnifico messer Aloise Foscari e fratelli, padroni del palazzo. Quivi esso messer Galeazzo avendo secondo i soggetti che gli erano dati, cantato su la lira molte belle cose, e ragionandosi de le cose che egli in Levante veduto avea, tra molti ragionamenti che fece, narrò una meravigliosa istoria avvenuta in un’isola del mar Egeo, la quale a tutti sommamente piacque. Onde ora ve la mando, avendola al nome vostro scritta. Voi ne farete copia ai nostri communi parenti, al dotto messer Girolamo ed a messer Enrico Bandelli. State sano.
S’io mi metterò a narrarvi le cose da me vedute nel tempo che io ho navigato per i mari di Levante, e voi averete assai che fare a prestarmi sì lungamente l’orecchie ed io in cicalare non saperei così di leggero ridurmi al fine, perciò che nel vero ho veduto ed udito assai cose degne per molte lor qualità d’esser raccontate. Tuttavia poi che me lo comandate, io alcune ne dirò; ma prima io vo’ dirvi una molto strana consuetudine che al tempo dei romani s’osservava in una de l’isole del mar Egeo, e udite come. Idrusa che ai nostri giorni da’ naviganti è chiamata Cea o Zea, è isola de le Cicladi già di belle e popolose città copiosa,