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barbaro che mai si fosse, fece menar così legato Cesare ne la camera ove Niccolò in mille pezzi smembrato nel suo sangue si stava, e gli disse: – Cesare, ecco il ribaldo adultero di tuo fratello; vedi qui il capo e riconoscelo a le sue fattezze. Quanto mi duole che Corrado non sia a queste nozze che io faccio, perchè anch’egli se ne sederebbe a questa sontuosa mensa, a ciò che nessuna reliquia del sangue dei tiranni Trinci al mondo restasse. Ma chi fa ciò che può ha fatto assai. Io non ce l’ho potuto cogliere: che maledetto sia Trevio e chi ci abita. – Detto questo, il perfido castellano sovra le membra di Niccolò, crudelmente di sua mano, Cesare, che più morto era che vivo e che mai parola essendo a sì fiero spettacolo fuor di sè non disse, come un agnello svenò e lasciò voltarsi nel sangue del fratello e suo. Dopo cotanta sceleraggine il fiero e più che neroniano castellano fece domandar i primi e più riputati uomini di Nocera, ai quali dinanzi la porta de la ròcca congregati egli che su le mura tra i merli era, cominciò a parlare ed essortargli a volersi metter in libertà, dicendo loro che il tempo oportuno era giunto che si potevano, volendo, liberare da la tirannia dei Trinci, perchè egli aveva Niccolò e Cesare imprigionati, i quali intendeva indi a poco far morire a ciò che la sua patria liberasse. Non parve al ribaldo manifestare che i dui fratelli fossero morti, se prima non spiava e conosceva le menti dei nocerini. Quando i ragunati intesero che dui dei loro signori erano incarcerati, udendo sì fatto tradimento tutti ad una voce agramente il ripigliarono, e poi con buone parole il pregarono che di cotanto errore, quanto commesso aveva, pentito, lasciasse liberi i lor signori dai quali si tenevano giustamente ed umanamente governati; che se questo egli faceva, talmente opererebbero appo essi signori, che gli impetrarebbero del grave commesso fallo perdono. L’assicurarono poi che essi ed il popolo simigliantemente non permetterebbero mai che i lor signori fossero sì villanamente morti, e che subito del tutto avvertirebbero Corrado chè in aita dei fratelli ne venisse. Gli dissero altresì che Braccio per modo veruno non comportarebbe che suo cognato, che era il duca di Camerino, stesse in prigione; e molte altre cose gli misero innanzi. Lo scelerato castellano veggendo che la città non era per liberarsi, rispose ai cittadini che fra il termine di tre o quattro ore darebbe loro risoluta risposta, e che in questo mezzo voleva meglio pensar sul fatto. Licenziati i cittadini, subito chiamò a sè dui giovini dei quali molto si confidava, e diede loro tutti i suoi danari e gemme che aveva, pregandogli a partirsi subito e trovar un luogo