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come meriti d’ammazzarti e far di te quello strazio che a la tua scelerata e trista vita si conviene, per fare in parte vendetta de la morte dei tuoi parenti e fratelli. – Il dir queste ingiuriose parole ed il cacciar mano a la spada fu tutto uno. E così diffendendosi il soldano quanto più poteva a la meglio che sapeva, si cominciò la mischia tra lor dui. Gli uomini del soldano ai quali la sceleratezza e crudeltà da lui commessa era in odio e desideravano che egli fosse morto, in soccorso di quello punto non si mossero, anzi andarono chi in qua chi in là, lasciando il crudel padrone ne le mani a Maometto, che sapevano esser de la persona molto prode ed animoso, di modo che dopo breve contesa lo scelerato soldano fu miseramente per le mani di Maometto tagliato a pezzi. Fatto questo, egli subito col favore del popolo occupò il real palazzo e dispose le guardie ove più gli parve conveniente. E perchè egli era carissimo a la moltitudine, fu da tutto il popolo salutato soldano. Accettò il dominio Maometto, e cominciò con grandissima giustizia ed umanità a governar lo stato e disporre il tutto prudentissimamente. Ed avendo circa un mese governato e il tutto ridotto ad ottimo termine, un giorno fatta sonar la trombetta, fece congregar tutto il popolo, così quello d’Ormo come anco i mercadanti e stranieri che vi si trovarono. Ed essendo tutti per comandamento suo congregati, egli in mezzo de la moltitudine ascese in alto e in questa forma a tutti parlò: – Sapete molto ben tutti voi che qui congregati sète, come io non sono di questa isola, ma fui comperato schiavo già molti anni passati dal padre di quel ribaldo tiranno, che io con l’aiuto di Dio ho ammazzato. Sapete anco il buon trattamento che il mio signor sempre mi fece, al quale io fedelissimamente sempre ho servito. Ora lo scelerato figliuolo, non figliuolo ma demonio incarnato, tratto da l’ambizione del dominare e non volendo attender il natural corso de la morte paterna, impaziente d’aspettare commise la nefanda e inaudita sceleratezza che a tutti è nota. E quantunque il debito mio volesse che io del mio caro padrone facessi vendetta, nondimeno io non ci pensava, disposto di lasciar far a Dio quello che più gli fosse piacciuto, non mi parendo esser bastante a cotanta impresa. Ma l’insaziabil tiranno, non contento di quanto commesso crudelmente aveva, cercò d’ammazzarmi. – E quivi narrata tutta l’istoria di lui e di Caim suo compagno, soggiunse: – A me parve che Dio mi mettesse in animo che io devesse liberarvi da le mani di così empio e scelerato signore. Il che essendomi successo, mi pare che il dominio si debbia