Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
ancora mezz’ora meco. – Marco le rispose che ella era errata, perchè l’amava più che gli occhi proprii e che tutto il suo piacere era starsi seco giorno e notte, ma che l’ora era tarda; e ribasciandola si levò per partirsi. La donna il prese per la camiscia e lo tirò sì ruvidamente che gliela stracciò indosso. Marco adirato le diede dui mostaccioni. Veggendolo la donna in còlera, cominciò fieramente a lagrimare e dirgli: – Certo io m’accorgo bene che tu punto non m’ami. Almeno sapessi io di farti piacere morendo, che non starei un’ora in vita. Vuoi tu ch’io ti contenti e ch’io mora? – Marco a cui ancora l’ira non era acquetata e si vestiva, le rispose che se voleva morire che morisse, chè poco dei fatti suoi si curava. La donna alora senza pensarvi più: – Ecco, – rispose, – che per farti piacere io me ne morrò, – e col capo avanti si gettò in terra di letto il quale non era perciò molto alto. Nondimeno la sfortunata donna si fiaccò miseramente il collo e subito morì. Marco sbigottito di simil caso la prese e la messe sovra il letto, e veggendo che ella non moveva nè piede nè mano, dolente oltra modo ed amaramente piangendo domandò la fante de la Malatesta e le mostrò la sua donna morta. La fante gridando fu cagione che alcune donne sue vicine, che del corpo servivano ai bisognosi, vennero al romore e cominciarono a biasimar gli italiani. In questa Marco partì e trovato l’Aieroldo gli narrò la disgrazia de la donna. Egli v’andò e trovate le donne che cantavano degli italiani, le cacciò di casa e andò a trovar l’ufficiale de la giustizia, il quale veduto il corpo e non vi trovato nè ferita nè altro male, diede licenzia che fosse seppellito; il che l’Aieroldo fece fare. E Marco restò molti mesi di malissima voglia. E nel vero gran cosa mi pare che in donna di simil sorte si trovasse sì fervente amore che per compiacer al suo amante l’inducesse omicidiale di se stessa, se amore perciò si de’ chiamare e non più tosto dissordinato appetito e pazzia.
messer Sigismondo Fanzino da la Torre salute
Mirabili nel vero son tutti quei casi che fuor de l’ordinario corso del nostro modo di vivere a la giornata accadeno, e spesso quando gli leggiamo ci inducono a meraviglia, ancora che talvolta molti uomini, non avendo riguardo a la santità de l’istoria che deve esser con verità scritta, come leggono una cosa che abbia del mirabile o che lor paia che non deverebbe esser di quel modo fatta, dicono: – Forse non avvenne così, ma chi questo fatto scrisse l’ha voluto a modo suo adornare. – Onde avendo scritto il pietoso e miserabil caso occorso in Mantova questi dì, ancora che il dotto e facondissimo messer Mario Equicola e il dotto e gentile messer Giovan Giacomo Calandra de l’avvenuto caso facciano indubitata fede, e che la gentilissima madonna Giovanna Trotta moglie di messer Carlo Ghisi, essendo io a Diporto a desinar con madama illustrissima, a quella puntalmente il narrasse, ho voluto mandarlo a voi che per commissione de l’illustrissimo e reverendissimo cardinale Sigismondo Gonzaga andaste a parlar con la donna prima che morisse, la quale è la maggior parte di questo caso. Vi piacerà adunque, essendo alcuno che dicesse non esser così, con l’autorità vostra far a la mia scrittura scudo. Il che so, la vostra mercè, che farete. State sano.
Già sono, illustrissima madama, circa dicesette anni passati che Paiazete imperadore de’ turchi bandì l’oste a dosso ai veneziani e tolse loro nel Peloponesso, che oggi la Morea si chiama, la città di Modone per forza; ove tante e sì varie crudeltà usò che per memoria d’uomini mai da barbari non furono usate le maggiori. Il perchè tutti quelli che ebbero il modo di levarsi da le mani dei turchi, lasciata l’amata patria, abbandonati i