Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
me tu voglia cavar d’obligo. E perchè il primo e più lodato ministro de la sempre lodata gratitudine è l’animo la cui candidezza nel lieto viso si scorge, io caramente ti priego che tu ponga fine a le lagrime e rasserenar il mesto volto ti piaccia e dimostrarti lieta, a ciò che il dono che siamo per fare tanto più sia accetto quanto apparirà che si faccia con più allegro volto, che sarà manifesto segno de l’interna contentezza del core. – Dissero di molte altre parole insieme, disponendosi Angelica di mostrar più gioconda presenza che possibil le fosse. Venne la notte, e circa due ore di quella, essendo il tempo da Carlo statuito di far quanto s’era conchiuso, egli con la sorella ed un servidore che portava una lanterna col lume dentro, andò a casa d’Anselmo, e quivi giunto cominciò a batter la porta. Venne un servidore e disse: – Chi batte? – e intendendo che era Carlo Montanino che diceva voler parlar ad Anselmo, tutto pieno di meraviglia e stupore il fece intendere al suo padrone. Anselmo udita l’ambasciata, fatto subitamente accender duo torchi, scese le scale, fece aprir la porta e andò a ricever con gratissima accoglienza Carlo, dicendogli che fosse il ben venuto e che cosa ci era da fare. Carlo rendendo ad Anselmo i convenienti saluti gli fece intendere che aveva bisogno di parlar seco in una camera ove non fossero altri a la presenza. Anselmo quivi veggendo Angelica, de la novità de la cosa senza fine meravigliatosi, nè sapendo che in così fatto caso imaginarsi o presumere, nessun’altra risposta fece se non che disse: – Sia al piacer vostro e andiamo. – Messa adunque innanzi Angelica e preso per la mano Carlo e a banda destra per forza messolo, salirono le scale di compagnia ed entrarono in sala, e di quella si ridussero in camera d’Anselmo, la quale sontuosamente era ornata e ad ordine sì come a la nobiltà e ricchezze del padrone si conveniva. Quivi dato per commissione d’Anselmo da sedere a la bella Angelica ed al fratello di quella, Anselmo anco egli s’assise e fece tutti i servidori uscir fuor de la camera. Rimasi adunque essi tre soli, Carlo in questa guisa rivolto verso il Salimbene il parlare, a dir cominciò: – Tu non ti meraviglierai, Anselmo, se io userò nuovo modo in parlarti che ne la nostra città non s’usa, chiamandoti «signor mio» come sempre ti chiamerò e terrò, perchè tu hai fatta cosa che merita che così ti nomi. Io da te riconosco questa povera vita, la quale eternamente sarà ad ogni tuo voler ubidientissima. Mia sorella da te ha ricevuto me suo fratello e il suo onore e la sua quiete. Se la malignità de la contraria fortuna non ci avesse trovati, ella ed io averemmo di pari gratitudine, a l’obligo