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per qual cagione, poi che a così estremo punto come ora condutta sono mi devevi ridurre, non estinguesti insieme con la mia carissima madre che al mio nascimento uccidesti, questa mia vita infelicissima e d’ogni miseria albergo? Ma se pure io deveva tanta persecuzion provare, perchè non chiudi tu ora, usando alquanto di pietà, questi miei occhi lagrimosi? Deh vieni, Morte, vieni e non lasciar ch’io più veggia la luce del sole, ma d’eterna ed oscurissima notte adombra questi occhi che altrui poco diletto e a me infinita amaritudine porgono. – A pena puotè l’afflitta e sconsolata Angelica queste ultime parole proferire, perchè da le lacrime abondantissime e pietosi singhiozzi impedita, stette alquanto senza poter formar parola alcuna. Dopoi a la meglio che puotè ripreso alquanto di vigore, in questa maniera a ragionar cominciò: – Ora, fratel mio, poi che a tanta miseria dispone la mia maligna sorte condurmi, e veggio che a te di me punto non cale, a cui tanto calere ne deverebbe quanto a me, e che pur disposto sei che io a mal mio grado segua l’animo tuo, molto più generoso e nobile che osservante de la ragione, io mi contento di sodisfare al voler tuo e a l’amore che fino a questo punto portato m’hai. Il perchè tu di questo mio corpo fa dono a chi più ti piace. Ben t’assicuro che poi che ad altrui donata m’averai, che io non sarò più tua. E poi che perduta averò la mia tanto cara onestà, la morte che io stessa con le proprie mani mi darò resterà vero e perpetuo testimonio a chi dopo noi verrà ch’io abbia voluto in tutto ubidirti, ma che con l’animo non abbia consentito al tuo non convenevol dono ed illecita sodisfazione, eleggendo prima morire che viver con sì brutta macchia in viso. – Detto questo ella, di nuovo aperta la vena a le lagrime, quelle in abondanza grandissima spargendo, si tacque. Udita Carlo l’ultima conchiusione de la sorella, in questa forma le disse: – Mai non mi fu questa misera vita tanto cara, dolcissima sorella, ch’io infinite volte quella non avessi liberamente e molto volentieri messa ad ogni perigliosissimo rischio prima che porre nè te nè il tuo onore su la bilancia. E questo senza dubio alcuno averesti potuto con effetto vedere e toccar con mano se non fosse stata la somma cortesia e meravigliosa liberalità d’Anselmo. Ma perchè ne la mente mia non cape che in quella persona ove regna il bruttissimo vizio de l’ingratitudine possa alcuna gentil vertù abitare, non convenendo il nero corbo con il candidissimo cigno, e portando ferma credenza che mai Anselmo non debbia usar villania contra te a cui s’è dimostrato sì amorevole, di nuovo io ti priego che te e