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amato, io sono così confusa che io non so da qual capo cominciar a risponderti. Ma pur essendo necessario che io ti risponda, dirò così confusamente ciò che a bocca mi verrà. Io credeva, – oimè, quanto sono le cose di questo mondo mutabili e varie! – che quando tu uscisti di prigionia e che scampato ti vidi da la vicina morte che ingiustamente t’era apparecchiata; credeva, ti dico, che il furore e malignità de la fortuna avesse posto fine a le sue violenti, pungenti ed avvelenate saette che tanto tempo ha saettato contra la famiglia nostra, e che oramai devesse acquetarsi e lasciarne in tranquillità. Ma misera me! io mi ritrovo di gran lunga ingannata e mi pare che vie più che mai ella si mostri contra noi con minaccioso viso, e se i nostri avi ha perseguitati, rovinati e disfatti, che medesimamente ora ricerchi di cacciarne nel profondo de l’abisso e totalmente esterminar la casa nostra, ed in particolare far di me quel crudele strazio che di donna infelice facesse in questo mondo già mai. Oimè, che io mi veggio da questa impetuosa e contraria fortuna, in tanta tenera età in quanta mi ritrovo e in sì debol sesso com’io sono, in sì dubia e fiera agitazion di mente condotta che i più saggi, esperimentati e forti uomini troppo averebbero che fare a saperne dirittamente riuscire. Io, lassa me! a dui estremi passi ridutta mi veggio, convenendomi per viva forza o da me divider te, fratel mio, che io unicamente amo e in cui ogni mia speme dopo Dio aveva collocata, non m’essendo in questa misera vita altro conforto rimaso nè altro sostegno nè consolazione alcuna, o vero volendoti conservare mi bisogni quello irrecuperabil tesoro altrui donare per il cui mantenimento ogni donna che punto di giudicio in sè abbia, deverebbe più tosto mille vite, se tante n’avesse, porre a rischio de la morte che perderlo. Perciò che con quello la vita veramente è vita, e a chi lo mantiene giova di vivere; ove per il contrario quella che conservar non lo sa o pazzamente lo perde, se ben vive, non è viva, anzi vie peggio che morta si può chiamare. E, per Dio, che cosa di buono, di riguardevole, d’amabile ha la donna di cui l’onor sia macchiato e perduto? Dunque, fratello, tu vuoi che non m’essendo de la eredità dei nostri passati avi altra cosa rimasa se non l’onestà, che io quella doni altrui, e di fanciulla onesta che fin qui vivuta sono, bagascia vituperosa e donna di volgo divenendo, sia per ogni canto mostrata a dito? Ahi maligna fortuna! o infelice e troppo nociva constellazione! o sorte avversa! o miseria di mia vita sottoposta a così diverse e varie generazioni di calamità, d’affanni e cordoglio amarissimi! O Morte crudelissima,