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a questo termine ridutto, avendo pur desiderio naturale di vivere come tutti gli uomini hanno, pensò essergli necessario vender il suo podere, e dei mille ducati pagar i mille fiorini de la condannagione e prevalersi del sovra più in altri bisogni. Fatta questa deliberazione, mandò per un sensale a offerire al cittadino predetto la sua possessione per il prezzo che altre fiate esso cittadino aveva voluto comperarla. Andò il sensale e fece l’ufficio che gli era stato imposto. Ma l’ingordo cittadino che vedeva Carlo esser ridotto al verde e ne l’acqua fin a la gola, disse che più non voleva la possessione, e che pure quando avesse animo di pigliarla, che non la pagarebbe un soldo di più di settecento fiorini. Ritornò il sensale con questa trista resoluzione a Carlo, il quale avendola udita comprese assai chiaramente il fellon animo ed avaro del cittadino. Il perchè cangiando pensiero, si propose voler pazientemente la morte sofferire e lasciar la possessione a la sorella, a ciò che con quella si potesse nodrire ed a la meglio che si potesse maritarsi. Pertanto veggendo che l’innocenzia sua giustificar non poteva e per altra via non ci era modo a liberarsi, troncate tutte le pratiche di vender il suo podere, cominciò a disporre le cose de l’anima. Egli aveva molti ricchi parenti del canto de la madre, i quali sapendo lui esser incarcerato per aver fatto contra gli ordini del magistrato, non ardivano parlare a favor di lui nè pagar la condannagione per non rendersi al reggimento sospetti. Angelica che unicamente amava il suo caro fratello, intendendo la deliberazione che egli fatta aveva, si sforzò assai a farlo pregare ed essortare che volesse vender il lor podere e liberarsi de la prigione e de la morte, e non stesse per dote di lei. Ma il tutto fu indarno; di che la sconsolata giovanetta viveva in tanta amaritudine che altro non faceva che giorno e notte piangere ed affligersi e consumarsi senza ricever conforto alcuno. Essendo poi venuto l’ultimo giorno del termine, che se in quel dì Carlo non pagava la moneta statuita da la Signoria, che il seguente giorno fosse su la piazza publicamente decapitato come ribello del dominio, avvenne che circa l’ora di nona Anselmo Salimbene che era stato molti dì in contado a le sue possessioni, tornando in Siena e dinanzi a la casa di Carlo passando, vide alcune donne quindi uscire e partirsi lagrimando. Il perchè chiamato a sè uno che quivi vicino abitava, gli domandò se sapeva la cagione perchè quelle donne, che erano fuor de la casa del Montanino uscite, piangessero. Colui che di tutto era informato narrò puntalmente ad esso Anselmo il caso di Carlo. Come Anselmo ebbe inteso il periglio ove Carlo si trovava,