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Abitava a la casa di Carlo molto vicino Anselmo Salimbene, giovine per nobiltà e ricchezze di molta stima, il quale veggendo assai sovente Angelica, e le sue bellezze più che non era il bisogno ingordamente e con affezion grandissima contemplando, sì fieramente di lei s’innamorò che come stava un’ora senza vederla gli pareva esser nel penace fuoco de l’inferno e non trovava riposo. E quello che più l’affligeva e senza intermissione il tormentava e quasi riduceva a disperazione, era che per l’antica nemistà de la sua con la casata d’Angelica non ardiva a persona del mondo le sue cocenti fiamme manifestare, non sperando mai di poter del suo fervente amore coglier nè fior nè frutto, portando ferma openione che Angelica non l’averebbe già mai amato. Mentre che Anselmo chiusamente le sue fiamme nodriva e mirabil gioia prendeva ogni volta che la sua cara ed amata giovane vedeva, la quale de l’amor di lui non s’accorgendo punto, di quello non si curava, avvenne che un cittadino nel governo di quella città molto potente, ma popolare, pose l’occhio a la possessione di Carlo e gli venne gran desiderio di comprarla, avendo altri suoi beni a quella vicini. Onde fece richieder a Carlo che volesse compiacergli a vendergli la sua possessione, che gliene darebbe mille ducati a la mano. Carlo che de l’antico patrimonio dei suoi altro non aveva che quel podere in contado e il palazzo in Siena, e con quello sè e la sorella parcamente sostentava, e non sapeva ove un’altra possessione ritrovare, gli fe’ risposta che vender non la voleva per modo alcuno. Il cittadino, che era uomo maligno e appetitoso de la roba altrui, prese tanto odio contra Carlo che si deliberò rovinarlo e cacciarlo del mondo. Era in quel tempo la maggior parte de la nobiltà di Siena confinata fuor de la città, e quelli che reggevano, ed erano popolari, odiando sommamente i nobili, fecero una legge che qualunque persona tenesse pratica con i confinati per procurar loro il ritorno a la patria pagasse mille fiorini, e non avendo da pagare gli fosse mózza la testa. Ora il maligno cittadino veggendo non poter ottener l’intento suo da Carlo, ordì un trattato a dosso ad esso Carlo e per mezzo di falsi testimonii il fece accusar a la Signoria e provare com’egli aveva tenute pratiche contra gli statuti de la città. Il perchè Carlo fu preso dai sergenti e condotto a le prigioni publiche. Il ribaldo cittadino che non s’era scoperto nemico di Carlo, ma navigando sotto acqua si fingeva amico, mostrò adoperarsi in favor di quello, di modo che Carlo fu condennato a pagar fra termine di quindici dì mille fiorini, e non gli pagando che ne perdesse il capo. Il povero giovine veggendosi