Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
al duca Filippo. Morto che fu il padre, egli se ne venne in Francia e secondo l’ordine di quel regno fu fatto re, e come vi ho già detto, fu molto travagliato; e nel principio del suo regno si scoperse vie più feroce che non si conveniva, aspro, sospettoso, solitario, fuggendo la conversazione dei suoi principi e baroni. Essendo la caccia in Francia essercizio molto nobile e di grande stima e da tutti i grandi frequentato, come fu re vietò ogni caccia così di fiere come d’augelli, in qualunque modo si fosse, e v’era pena la testa a chi senza sua licenza fosse ito a cacciare o ad augellare. Si dilettò poi aver appresso di sè uomini di bassa condizione e di sangue vile, dando tanta libertà ad Olivero Banno suo barbiero quanta sarebbe stata condecente dare al primo prencipe del sangue reale. E col consiglio di costui e d’altri suoi pari incrudelì contra il sangue proprio e fece anco morire alcuni prencipi, i quali quando il re gli avesse tenuti da pari loro non sarebbero forse incorsi negli errori che fecero. Ora vivendo Luigi non come re ma privatissimamente, e vestendo per l’ordinario di vilissimi panni, portando un cappello tutto carco di cocchiglie e d’imagini di santi da duo o tre quattrini l’una, avvenne che un dì essendo egli rimaso con pochissima compagnia in casa, andò la sera ne la cucina ove il mangiar de la sua bocca si coceva, e vide un giovanetto d’assai buon aspetto e più che non si conveniva a sì vil mestiero come faceva, perciò che girava al fuoco un spedo d’arrosto di castrato. Piacque l’aspetto e l’aria del fanciullo al re, e gli disse: – Garzone, dimmi chi tu sei e donde vieni, chi è tuo padre e ciò che tu guadagni il giorno con questo tuo mestiero. – Il giovine che novellamente era venuto in casa e dal cuoco del re preso per guattero, non conosceva ancor nessuno de la corte: si pensò che colui che parlava seco in cucina fosse qualche peregrino che venisse da San Giacomo di Galizia, veggendolo vestito di bigio e con quel cappello in capo carco di cocchiglie, e gli rispose: – Io sono un povero figliuolo chiamato Stefano, – e disse la patria sua e il nome del padre, – che servo al re in questo basso ufficio che voi vedete, e nondimeno io guadagno tanto quanto egli si faccia. – Come, – rispose il re, – che tu guadagni altrettanto quanto il re? e che cosa guadagni tu? il re anco che cosa guadagna egli? – Il re, – disse il guattarello, – guadagna ciò che mangia, beve e veste, e per la mia fede io averò altrettanto da lui sì come egli ha da nostro signor Iddio; e quando verrà il giorno de la morte egli, ben che sia ricchissimo re ed io poverissimo compagno, non porterà perciò più seco di quello che porterò io. – Questo saggio motto piacque