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muove i suoi padroni ad aver pietà di lui e fargli del bene. Nè minor lode dar si deve a quelli che con arguto dire modestamente dimostrano i diffetti dei lor superiori, o, quelli con grazia mordendo, gli inducono ad emendarsi od almeno a vergognarsi d’esser di cotal errore macchiati. Sono anco degni di lode alcuni che conoscendo la difficil e superba natura di quelli con chi hanno a negoziare, e che, o bene o male che ti facciano, non vogliono esser ripresi, ma desiderano continovamente aver gnatoni, parasiti e adulatori che l’orecchie loro con false lodi e manifestissime bugie addolciscono e in ogni azione gli applaudeno; sono, dico, alcuni degni di esser lodati i quali non vogliono opporsi a queste nature così ritrose, e tuttavia quando veggiono qualche errore d’un signore o di chi si sia, con qualche savio motto in compagnia fida e grata lo mordeno, di modo che il parlar loro dagli sciocchi non è compreso. Onde io alora dissi: – Madama e voi signori, a me sovviene d’un arguto detto che il signor Marco Antonio Colonna, essendo io seco e ragionando ne la chiesa de le Grazie in Milano, disse. E questo, signor mio, se vi ricorda, fu quando Odetto di Fois vicerè in Milano venne a messa a le Grazie suso una picciola muletta, che voi diceste: – Bandello, ancora che tu veggia quella picciola bestiola, io non conosco perciò in questa armata del nostro re cristianissimo cavallo nè mulo così forte e potente com’ella è. E di questo non ti meravigliare, perciò che ella porta monsignor di Lautrecco con tutti i suoi conseglieri. – Come io ebbi narrato a madama e a quei signori cotesta arguzia, tutti intesero benissimo che voi avevate punto la costuma d’esso monsignor di Lautrecco, che era, se ben congregava il conseglio e in una faccenda ricercava il parer degli altri, nondimeno di non far mai quello che dai conseglieri si conchiudeva, ma quello solo che al suo mal regolato giudicio sembrava esser buono. E così dandovi madama parte di quelle lodi che meritevolmente vi si deveno, messer Gian Stefano Rozzone, pratico de la corte di Francia, disse che un simil motto fu detto del re Luigi undecimo e d’una sua picciola chinea, soggiungendo che non essendo discaro a madama, direbbe una novelletta d’esso re Luigi pur a questo proposito dei belli ed arguti motti. Piacque a madama che così facesse; onde egli disse la sua novella: la quale avendo io ridotta al numero de l’altre mie, ho pensato non esser disconvenevole che quella vi doni, conoscendo quanto voi di questi bei detti e motti a l’improviso pronunziati vi dilettiate, e sapendo altresì che al vostro valore io non posso cose di gran valuta offerire. Questa