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che pareva una rosa incarnata còlta di maggio ne l’apparir del sole; il che di più in più l’accrebbe le sue bellezze. L’altre donne che seco di brigata erano, parendo lor che ella usasse poca cortesia, avendo compassione al giovine che valoroso e gentile conoscevano, dissero scherzevolmente a la ritrosa ed irata donna: – Veramente gran cosa, madonna, è questa, che voi entriate in còlera che sì cortese cavaliero vi saluti e non vogliate d’una parola contentarlo, che per voi ogni gran cosa farebbe. V’ha egli per questo contaminato l’onor vostro? non sta egli bene ad ogni gentiluomo generalmente onorar tutte le donne? non è poi gran discortesia ed atto poco civile a chi ci saluta non rispondere? – Non aspettò il cavaliero che la donna a le compagne rispondesse, ma preso per le parole loro più d’animo, rivolto a quelle le disse: – Eccovi mò, donne mie care, a qual termine io son ridotto. Io amo costei, – non mi accade negare ciò che questa città sa, – molto più che la vita mia, nè altro in dono le cheggio se non che degni non dico amarmi, chè tanto non presumerei e la sua rigidezza nol sofferisce, ma che contenta sia che io l’ami e suo cavaliero m’appelli, e mi comandi tutte quelle cose che per me così ne l’opere de la vita come per roba far si ponno, perciò che sempre mi troverà suo ubidientissimo servo. Ma ella del tutto fuor di maniera schifevole, nè me nè le mie cose punto cura. Del che io me ne vivo il più mal contento uomo del mondo. – Stavasi l’adirata donna tutta in sè raccolta e agli occhi de l’amante pareva sì meravigliosamente bella che egli a lei rivolto, in modo gli occhi le aveva gettati in viso che, di soverchia dolcezza ebro, era di se stesso fuori. Parole assai si dissero da le compagne de la donna e da quelli che erano col signor Gostantino, ed assai cose dette furono di questo amore che troppo lungo e forse noioso sarebbe il raccontarle. A la fine dopo molte parole, una più de l’altre baldanzosa e che per ventura averebbe voluto vedere la corrucciata donna, se ben era altera e disdegnosa, che almeno non fosse ritrosa e sì selvaggia al signor Gostantino, voltando le parole donnescamente disse: – Signor cavaliero, voi altri giovini innamorati o che d’esser mostrate, sapete troppo ben cicalare e dir le ragion vostre, fingere meravigliosamente l’appassionato e con tante ciancie avviluppare il cervello a le semplici donne, che ben sovente vi fate creder la bugia. Ma a la fè di Dio che a me non l’appiccareste voi. Potreste ben dire e ridire, che io non vi darei credenza d’un bagattino. Deh, non l’abbiate per male, signor cavaliero: tutti sète bugiardi, fingardi e disleali, (a le donne, dico), e parvi dei signori veneziani