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possessione amorosa de la signora Bianca Maria. Attendeva dunque il conte a darsi buon tempo con la detta donna, e così perseverò alcuni mesi. Ma veggendo ella che il conte, essendo stato due o tre volte il signor Ardizzino a Pavia, non l’aveva mai fatto assalire, nè cercato di farlo ammazzare, anzi l’aveva accarezzato, e mangiato alcune volte con lui di compagnia, deliberò levarsi da questa pratica del conte. Ora, che che se ne fosse cagione, cominciò a fingersi inferma e a non si lasciar più veder da esso conte, trovando or una scusa ed or un’altra, e massimamente che il suo marito monsignor di Cellant le aveva mandato messi per riconciliarsi seco, e che ella era d’animo di far ogni cosa per ritornar col marito. Per questo che lo pregava a non voler più praticar con lei, a ciò che quelli che dal marito venivano a Pavia potessero far buona relazione di lei. Il conte di Gaiazzo, o credesse questa favola o no, mostrò almeno di crederla, e senza altre parole se ne levò, e da questa amorosa impresa si distolse; e per non aver occasione di ritornarvi, da Pavia si partì e andò a Milano. La signora Bianca Maria, veggendo il conte esser partito, e sovvenendole che era più libera col signor Ardizzino che sommamente l’amava, tornò a cangiar l’odio in amore, o forse, per dir meglio, a cambiar appetito. E tra sè deliberata di ritornar al primo gioco amoroso con il detto signor Ardizzino, ebbe modo di fargli parlare e di scusarsi seco, con fargli intendere che ella era tutta sua e che perpetuamente intendeva d’essere, se da lui non mancava, pregandolo che egli volesse far il medesimo e disporsi a voler in tutto e per tutto esser di lei, sì come già ella era determinata esser eternamente di lui. Le cose si praticarono di tal maniera, che il signor Ardizzino ritornò di nuovo al ballo e riprese un’altra volta il possesso dei beni amorosi de la signora Bianca Maria, e di continovo, giorno e notte, era con lei. Stettero insieme più e più giorni, quando cadde ne l’animo a la donna di far ammazzare il conte di Gaiazzo. E chi le avesse chiesto la cagione, dubito io assai forte che non averebbe saputo trovarne alcuna, se non che, come donna di poco cervello e a cui ogni gran sceleratezza pareva nulla, averebbe addutti i suoi disordinati e disonestissimi appetiti, dai quali senza ombra alcuna di ragione, non dico governata, ma furiosamente spinta, a l’ultimo e sè ed altri a miserando fine condusse, sì come ascoltandomi intenderete. Entrata adunque in questo umore, e non le parendo di poter allegramente vivere se il conte di Gaiazzo restava in vita, e non sapendo che altra via trovare, se non indurre il signor Ardizzino a servirle di manigoldo,