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Se questa tu cerchi sanare, egli ti converrà con la propria vita rimediargli, altrimenti non pensar che rimedio alcuno se gli trovi già mai. E chi non sa, se uno tòcco da questo pestifero morbo mi vede in corte, sacratissimo re, da te più che lui favorire, e i servigi miei più grati a te essere, o che io meglio di lui sappia l’armi essercitare, od in altro conto più di lui valere, e di queste tal cose m’abbia invidia, chi non sa, dico, che cotestui mai non potrò sanare, s’egli non mi vede de la tua grazia privo, di corte cacciato e in estrema rovina messo? Se io gli donerò tutto ’l dì grandissimi doni, se li farò sempre onore, lodilo quanto sappia e gli faccia ogni servigio, il tutto è buttato via. Mai non cesserà di adoperarsi contra di me fin che non mi veda a l’ultima miseria condutto, chè tutti gli altri rimedii sono scarsi ed invalidi. Questo è quel velenoso morbo che tutte le corti ammorba, a tutte le vertuose operazioni nuoce, e a tutti i gentili spiriti cerca di far offesa. Questo è il tenebroso velo che spesso ad altrui adombra con tanta oscurità gli occhi, che il vero non gli lascia vedere, e sì offosca il giudicio che malagevolmente discerne il giusto da l’ingiusto, essendo cagione apertissima che mille errori ne l’operazioni umane tutto il dì si fanno. E per dirne quel che al presente al proposito nostro appartiene, non è in somma vizio al mondo che più le corti guasti, che più dissolva il vincolo de le sante compagnie, nè che più rovini i signori, come è il veleno de l’invidia, perciò che chi dà orecchia a l’invidioso, chi le sue maligne chimere ascolta, non è possibil che faccia cosa buona. Ma per venir al fin omai del mio ragionare, l’invidioso non tanto del suo bene s’allegra, non tanto dei suoi comodi gioisce, quanto de l’altrui mal di continovo giubila e ride, e del profitto altrui piagne e s’attrista, e per veder cacciar dui occhi di capo al compagno, l’invidioso se ne trarebbe uno dei suoi. Queste parole, invittissimo prencipe, ho io voluto qui a la presenza tua e de li tuoi satrapi e del popolo dire, a ciò che ciascuno intenda che io appo la tua corona, non per malignità tua o colpa mia, ma per le velenose lingue degli invidiosi era in disgrazia cascato. – Piacque al magnanimo re il verissimo parlar d’Ariabarzane, e quantunque si sentisse da le parole di lui trafitto, nondimeno conoscendole vere, e che per l’avvenire potevano esser a tutti di profitto, molto a la presenza di tutti le commendò. Il perchè avendo già esso Ariabarzane ricevuta in dono la vita dal suo re e chiamatosi vinto, e conoscendo il re il valor di quello e la fede, ed amandolo come in vero l’amava, umanamente facendolo dal nero catafalco discendere e sovra quello