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nel mezzo de la piazza un tribunale coperto tutto di panni neri, e per riscontro a quello un altro che di porpora e di panni di seta si copre, ove il re, se vuole, in mezzo ai giudici sede, e, letto il processo del reo, di bocca sua comanda che la sentenza si essequisca, o, se gli pare, libera ed assolve il condannato. E non volendo il re esser presente al giudicio, il più vecchio dei giudici, avuta la volontà del re, tosto essequisce il tutto. Il re, a cui nel vero doleva che così magnanimo uomo e tanto suo fidato, e suo suocero e genero, avesse così orribil fine, volle quella mattina esser presente al tutto, sì per veder la continenza d’Ariabarzane, come anco per trovar via al suo scampo. Fu adunque Ariabarzane dai sargenti de la giustizia condutto sovra il tribunale e quivi pomposamente vestito; poi la corona de l’alloro li fu posta sovra il capo. Nè guari così stette, che de le ricche vestimenta e de la corona fu dispogliato, e de le sue solite vesti vestito. Stava il manigoldo aspettando l’ultimo comandamento per far l’ultimo suo ufficio, e già aveva la tagliente spada levata in alto, quando il re fiso guardava nel volto ad Ariabarzane, il quale nè più nè meno nel viso era di color cangiato, come se la cosa a lui non appartenesse, e pur poteva ragionevolmente credere che il manigoldo era in ordine per tagliarli la testa. Veggendo il re la fiera constanza e l’animo invitto d’Ariabarzane, ad alta voce che da tutti s’udiva, così disse: – Ariabarzane, come tu puoi sapere io non son quello che t’abbia a la morte condannato, ma l’opere tue mal regolate e gli statuti di questo regno t’hanno a questo passo condutto. E perciò che le nostre sante leggi mi danno libertà che io possa ogni reo condannato, come mi pare, od in parte od in tutto assolvere ed a la pristina grazia restituire, se tu vuoi chiamarti vinto e che degni la vita da me in dono prendere, io ti perdonerò la morte e ti restituirò a li tuoi ufficii e dignità. – Udite queste parole, Ariabarzane ch’in ginocchione col capo chino stava attendendo che il capo gli fosse mozzo, levò la testa e verso il re si rivolse; pensando che a sì duro passo non tanto la malignità del re, quanto l’altrui invidia e le lingue serpentine de’ suoi nemici l’avevano condutto, deliberò, usando de la pietosa liberalità e grazia del suo signore col restar in vita, non dar a’ suoi nemici con sì fiera morte contentezza. Onde tutto in atto riverente, con ferma e sonora voce così al re disse: – Invittissimo signor mio, da me a par degl’immortali dèi riverito, poi che, la tua mercè, tu vuoi ch’io viva, io da te riverentemente la vita in dono accetto, che quando io credessi restar vivo in disgrazia tua, non l’accettarei, e in tutto vinto mi chiamo. Resterò