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dei migliori del mondo, dandogli quelle lodi che a così magnanimo atto pareva loro che convenisse, di modo che non v’era persona che il falcone sommamente non commendasse. Il re, per cosa che nessuno dei baroni od altri dicesse, mai non disse parola; ma sovra di sè stando e tuttavia pensando, nè lodava il falcone nè lo biasimava. Era molto tardi quando il falcone uccise l’aquila, il perchè il re comandò che ciascuno a la città ritornasse. Il dì seguente il re fece da un orefice far una bellissima corona d’oro, di tal forma che in capo al falcone si potesse porre. Quando poi gli parve il tempo convenevole, ordinò che sovra la piazza de la città fosse elevato un catafalco ornato di panni razzi e d’altri adornamenti, come è di costume simil palchi reali adornarsi. Quivi a suon di trombe fece il falcone condurre, ove per comandamento del re un gran barone gli pose in capo la corona de l’oro, in premio de l’eccellente preda che sovra l’aquila fatta aveva. Da l’altra banda ecco venire il manigoldo, che levata di capo al falcone la corona, quello con la scure gli spiccò dal collo. Restò di questi contrarii effetti ciascuno che a lo spettacolo era molto stupido, e si cominciò da tutti variamente a parlar sovra questo caso. Il re, che ad una de le finestre del palazzo stava il tutto a vedere, fece far silenzio, e tant’alto che dagli spettatori poteva esser udito, così disse: – Non sia chi presuma di quanto adesso circa il falcone s’è essequito mormorare, perciò che il tutto ragionevolmente s’è fatto. Io porto ferma openione che ufficio sia d’ogni magnanimo prencipe conoscer la vertù ed il vizio, a ciò che l’opere vertuose e lodevoli possa onorare e i vizii punire; altrimenti non re o prencipe, ma perfido tiranno si deverebbe chiamare. Il perchè avendo io nel morto falcone conosciuta una generosità e grandezza d’animo accompagnata da fiera gagliardia, quella con corona di finissim’oro ho voluto onorar e guiderdonare, chè avendo egli così animosamente un’aquila uccisa, degno fu che tanta animosità e prodezza fosse premiata; ma considerato poi ch’audacemente, anzi pur con temerità, la sua reina aveva assalita e morta, convenevol cosa m’è parso che la debita pena di tanta sceleratezza ne ricevesse, chè mai non è lecito al servidore le mani insanguinar nel sangue del suo signore. Avendo adunque il falcone la sua e di tutti gli augelli reina ammazzata, chi sarà che ragionevolmente possa biasimarmi, se io il capo gli ho fatto troncare? Veramente, che io mi creda, nessuno. – Questo giudicio allegarono i signori giudici, quando diedero la sentenza ch’Ariabarzane fosse decapitato. E così conforme a quello ordinarono