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far riverenza al suo signore, dal quale fu con assai allegra accoglienza raccolto. Nè guari dopo stette che il re gli disse: – Ariabarzane, poi che tu sei senza moglie, noi vogliamo dartene una quale a noi piacerà, ma tale che tu te ne deverai benissimo contentare. – Rispose Ariabarzane che tanto era per fare quanto egli volesse. Fece alora il re venir la sua figliuola pomposamente vestita, ed ivi a la presenza di tutta la corte volle che Ariabarzane la sposasse. Il che con le convenevoli ceremonie fatto, Ariabarzane dimostrò poca allegrezza di questo parentado e fece in apparenza molte poche carezze a la sposa. Tutti i baroni e gentiluomini che in corte erano molto restarono stupidi, veggendo tanta umanità del lor re che un suo vassallo s’avesse preso per suocero e genero; da l’altra parte veggendo la ruvidezza d’Ariabarzane, senza fine lo biasimavano. Stette tutto quel giorno Ariabarzane fuor di sè, e mentre che tutta la corte era in gioia ed altro non si faceva che danzare, e il re istesso menava gran festa per le nozze de la figliuola, egli sempre ai pensier suoi attese. La sera, dopo la sontuosissima cena, fece il re con solennissima pompa accompagnar la figliuola a l’albergo d’Ariabarzane e seco portar la ricchissima dote. Raccolse egli la moglie molto onoratamente ed in quell’ora medesima, a la presenza di tutti quei baroni e signori che accompagnata l’avevano, le fece altra tanta dote quant’era quella che recata aveva, e i mille pesi d’oro che per la dote gli erano dal re dati, al re rimandò. Questa così fatta liberalità fu al re di tanta estrema meraviglia e tutto insieme di così fiero sdegno cagione, che in dubio era se deveva cedergli o condannarlo a perpetuo essilio. Pareva al re che la grandezza de l’animo d’Ariabarzane fosse invincibile, e non poteva con pazienza soffrire che un suo vassallo si volesse al suo re in cose di cortesia e liberalità agguagliare. Si mostrò adunque fieramente sdegnato, tuttavia fra sè pensando quel che in questo caso devesse fare. Fu assai legger cosa ad avvedersi del corruccio e mal talento del re, imperò che egli, in vista turbato, a nessuno mostrava buon viso. E perchè in Persia a quei tempi erano i regi a par dei loro dèi onorati e riveriti, era tra loro una legge, ch’ogni fiata che il re fuor di misura s’adirava, deveva la cagione de la sua ira ai suoi consiglieri manifestare, i quali poi con matura diligenza il tutto essaminavano, e ritrovando il re ingiustamente adirato, quello a rappacificarsi astrignevano. Ma ritrovando con verità che egli giusta cagione avuta avesse di sdegnarsi e di montar in còlera, il causatore de lo sdegno, secondo la qualità del diffetto, o più o meno punivano, ora con essilio ora con pena capitale. Il