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che di nuovo era uscito fuori, ne le mani, o leggeva la Nanna o sia Raffaella de l’Aretino, di maniera che bene spesso ser Gandino, a ciò che la moglie troppo leggendo non s’affaticasse, faceva egli il lettore, e con quella sua goffa pronunzia bergamasca le leggeva tutto ciò che ella comandava. Così, tanto che ella diceva sentirsi indisposta, egli voleva che in camera mangiasse e la faceva meglio servire che non si serviva la signora Clarice. E perchè egli era maestro di casa e pagava i salariati, ciascuno cercava farselo amico. Venne una volta a Gibello maestro Girolamo Carenzone medico eccellentissimo, che per l’ordinario stava in Cremona sua patria, ma medicava tutti i signori Pallavicini, essendo alquanto infermo il signor Gianfrancesco figliuolo de la signora Clarice. Ser Gandino teneva compagnia e cercava farselo domestico, a ciò che venendo il bisogno avesse buona cura de la Zanina. Il Carenzone che era avveduto e vedeva il pelo nel bianco de l’ovo, cominciò a prendersi gran piacere de le sciocchezze gandinesche e sempre il lodava, dandogli, come si dice, del dito sotto la coda. Onde una volta disse al medico: – Io veggio bene, messer mio, che voi sète persona di giudicio e conoscete ciò ch’io vaglio; ma in questa casa io non sono conosciuto. Nè pensate ch’io facessi questo ufficio di maggiordomo, se la signora non me n’avesse più che pregato, chè io sono uomo da altro mestiero che governar quattro gatte. Io ho il siniscalco che attende a questi servigi di casa, chè il mio proprio ufficio è d’esser consigliero de la signora e attender al governo de le cose del suo stato. – Di modo che lo scemonnito era la idea del buon Trionfo da Camerino. Nè pensate che ne le tavole ove la signora Clarice col signor suo figliuolo e molti gentiluomini mangiavano, fosse portata vivanda alcuna o manicheretto veruno delicato che la moglie di cotestui non n’avesse parte sua. Avendo poi questo animale udito dire che la signora Ippolita marchesa di Scaldasole usava ogni giorno bere un gran bicchiero di pesto di cappone per mantener morbide e belle le carni, a ciò che tale la Zanina divenisse, bene spesso senza altra cagione se non dicendo che de lo stomaco è alquanto indisposta, per quindici o venti dì le fa pigliare ogni matina una piena tazza di brodo di cappone consumato, con le polpe ben peste e distemperate con zucchero fino e cinamomo polverizzato mescolato insieme. Ed essendo una volta ripreso da le vecchie de la casa di queste sue dilicatezze non convenevoli, altro non sapeva che rispondere se non che la Zanina era forte debole e che non poteva masticare. E perchè talora sentiva pure che la