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novella ii. 31

che serve. Ora a te dico che, meritando tu ogni dì tanto quanto meriti, e di continuo cercando infinitamente d’ubligarmi con le tue larghe cortesie come fai, impotente mi rendi a sodisfarti, di modo che tu tronchi la strada a la mia liberalità. Non vedi ch’io sono da te prevenuto ed occupato nel mezzo del viaggio mio consueto, il quale è di rendermi i miei servidori amorevoli, grati ed ubligati con li doni, dando loro a la giornata il mio, e se uno per la servitù sua merita un talento, donargliene duo e tre? Non sai che quanto meno da loro s’aspetta il premio, ch’io più tosto glielo dono e più volentieri gli essalto e onoro? Attendi dunque, Ariabarzane, per l’avvenire a viver di sorte che tu sia per servo conosciuto, ed io reputato, come sono, signore. Tutti li prencipi, per mio giudicio, due cose ne li loro servidori ricercono, cioè fede e amore, le quali ritrovate più oltre non curano. Onde chiunque vorrà, come tu fai, meco di cortesia contendere, troverà a la fine ch’io gliene averò poco grado. E di più ti vo’ dire che, quando io vorrò, mi dà l’animo che togliendo ad un mio servidore de le sue cose e quelle facendo mie, io sarò e da lui e dagli altri che lo saperanno veramente detto cortese e magnanimo. Nè questo sarà da te negato, anzi volontariamente il confesserai ogni volta che ne l’animo mi caderà di farlo. – Qui si tacque il re, e Ariabarzane molto riverente, ma con grandezza d’animo, in questo modo gli rispose: – Io già mai non ho cercato, invittissimo re, di voler l’infinita ed incomprensibil vostra cortesia con l’opere mie vincere od aguagliare, ma ben mi sono affaticato di far che voi, anzi che tutto il mondo, chiaramente conoscesse, che nessun’altra cosa tanto desidero quanto la grazia vostra, e cessi Iddio ch’io mai non caschi in tanto errore, ch’io presuma poter contendere con la grandezza vostra. E chi sarà che voglia la luce levar al sole? Ben m’è parso e pare che sia debito mio, che non solamente di questi beni de la fortuna io per onor vostro e servigio debbia esser largo donatore, avendoli da voi avuti, ma che anco a profitto de la corona vostra convenga ch’io sia di questa mia vita non solo liberal, ma prodigo. E se v’è parso ch’io abbia cercato di par grandezza d’animo giostrar con voi, devevate pensare che io questo faceva per aver più compitamente la grazia vostra e a fin che voi di giorno in giorno più vi piegassi ad amarmi, parendomi che il fin d’ogni servidore sia di cercar con ogni sforzo l’amor e grazia del suo signore. Ora potrò io ben dire, invittissimo re, contra ogni credenza mia, se così vorrete confessare, che l’esser stato magnanimo, gentile e cortese meriti biasimo e gastigo e la disgrazia vostra, come in me quel che da