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con Marte: – Io vo’ dir ciò che mi piace, e se la lingua fallirà il corpo patirà la pena. – Ma perchè non saria molto meglio non morder l’amico fuor di proposito che venir a queste mischie? E’ pare che Domenedio così permetta, che questi morditori e mal dicenti e che a la lor lingua non vogliono por freno, che quando vengano poi al menar de le mani, restano sbigottiti e non sanno ciò che si faccino, e restano con lor danno e vergogna o morti o prigioni. Ed io ne ho veduti tanti qui a Gazuolo, a Bozolo, a Gazoldo, a Mantova, a Scandiano e altrove in Italia per simil cagioni combattere, che vi potrei narrare che sempre l’ingiuriatore è restato di sotto. Ma io non voglio per adesso entrar in materia d’arme nè referir cose sanguinose, sapendo ch’io dispiacerei a queste nostre madonne, a le quali io desidero non solamente con le parole far servigio, ma con l’opere de la vita, ogni volta che l’occasione mi accaderà, di farle conoscere quanto le son servidore. Dirò adunque quanto trascuratamente un cittadino di Forlì dimostrasse l’ignoranza sua, essendo stato troppo pronto a rispondere ove egli deveva tacersi e star ad ascoltare come facevano gli altri. Onde vi dico che, non è molto tempo, essendo in Forlì seguita una occisione grandissima e rovinamento con fuoco di molte case tra ghibellini e guelfi, come spesso per le nostre malvage fazioni suole in Romagna avvenire, i frati di san Domenico, che in quella città hanno un venerabile ed antico monastero, fecero elezione d’un santissimo uomo e solenne predicatore che la quadragesima seguente devesse la parola di Dio ai forlivesi predicare ed insiememente le lor parzialità e vizii riprendere. Questo fu un fra Mattia Cattanio da Pontecorono di Lombardia, uomo in quella religione molto stimato per la sua buona ed austera vita. Come fra Mattia fu nel tempo de carnevale arrivato a Forlì, così fu dal priore pienamente instrutto dei peccati e sceleratezze che in quella città si facevano, e di tanti omicidii, abrusciamenti e rovine di case, che solamente per le parti dai ghibellini a’ guelfi si commettevano. Il predicatore del tutto pienamente informato, il primo giorno che cominciò a predicare, fatto il suo proemio e proposta e partita la sua materia che intendeva di predicare, prima che entrasse più innanzi fece una sua accommodata scusazione, che non di sua volontà era venuto in quella città a predicare, ma mandato dal suo superiore, a cui non è lecito contradire, e che, nel viaggio e dopo che era a Forlì arrivato, aveva inteso tanti enormi peccati e vituperose maniere dei forlivesi, che gli pareva non esser venuto a predicar a cristiani, ma a mori e a turchi. – La cagione adunque per