simamente ora vesti, ora argento e oro, ora gemme e altre cose assai di valuta donare a questi e a quelli. Si vedeno li gran signori non solamente di queste così fatte cose esser a’ suoi servidori larghi e cortesi, ma anco castella, terre e città magnificamente donare. Che diremo di quelli che del proprio sangue e de la vita istessa molte fiate sono per altrui servirne prodighi? Di cotesti e simili essempi pieni ne sono tutti i libri de l’una e l’altra lingua; ma chi la gloria sprezzi e sia del proprio onor liberale, ancora non si trova. Il vittorioso capitano dopo il sanguinolento conflitto a’ suoi commilitoni le spoglie de li nemici dona, li dà prigioni, e di tutta la preda li fa partecipi; ma la gloria e l’onore de la battaglia per sè riserba. E, come divinamente scrive il vero padre de la romana eloquenza, quelli filosofi che del deversi sprezzare la gloria scrissero, con gli scritti libri la gloria ricercarono. Ora il re, a cui queste grandezze e cortesie del senescalco non piacevano, anzi erano a noia, perciò che giudicava non convenirsi nè essere punto condecevole che uno suddito e servitore si volesse non solamente agguagliare al suo signore, ma quello con opere cortesi e liberali obligare, cominciò, come si suol dire, darli de l’ala, nè li fare quel buon viso che soleva. E a la fine deliberò farli conoscere che egli viveva in grandissimo errore, se si persuadeva rendersi il suo padrone ubligato; e udite come. Era antico ed approvato costume in Persia, che li regi ogni anno, il giorno anniversario de la loro coronazione solennizzassero con gran festa e pompa; nel qual dì tutti i baroni del regno erano ubligati ritrovarsi a corte, ove il re per otto giorni continui con sontuosissimi conviti ed altre sorti di feste teneva corte bandita. Venuto adunque il giorno anniversario de la coronazione di Artaserse, ed essendo tutte le cose secondo gli ordini loro messe in assetto, volendo il re fare quanto ne l’animo caduto gli era, impose a uno de li suoi fidati camarieri, che subito se n’andasse a trovare Ariabarzane e sì li dicesse: – Ariabarzane, il re ti comanda che adesso adesso il corsiero bianco, la mazza d’oro e gli altri arnesi de la senescalcaria tu istesso porti a Dario tuo nemico, e per parte del re li dirai che egli è creato senescalco generale. – Andò il camariero, e fece quanto dal re gli era stato imposto. Ariabarzane, udendo questa fiera ambasciata, fu per morire di doglia, e tanto più di dolor sentiva, quanto che Dario era il maggior nemico che egli avesse al mondo. Nondimeno, come colui ch’era di grand’animo, non sostenne in modo alcuno di mostrar la grandezza che di dentro aveva, ma con buon viso disse al camariero: ciò che piace al mio signor