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tu la darai a sua madre. E guarda, per quanto hai cara la vita, non preterir quest’ordine. – Il servidore gli rispose che non dubitasse, che il tutto farebbe come egli ordinato gli aveva. Fatto questo, don Diego chiamò un altro suo fidatissimo servidore, che era uomo da bene e pratico de le cose del mondo, e a lui aperse tutto il suo core di quanto intendeva fare. Il buon uomo biasimò assai questa sua irragionevole deliberazione e si sforzò con buone ragioni levarlo fuor di questo farnetico, ma nulla fece di profitto chè egli aveva deliberato far così. Il che veggendo, il leale ed amorevole servidore pensò tra sè che era minor male che egli andasse seco, perciò che poteria a lungo andare levargli di capo questa fantasia, e stando al continovo con lui guardarlo da qualche altro più noioso accidente. E così disse che anderebbe seco e che mai non lo abbandoneria. Accordati adunque insieme e messo ad ordine il tutto, la seguente notte tutti dui montarono a cavallo, don Diego sovra un buon giannetto di meraviglioso passo ed il servidore sovra un gagliardo cavallo con la valige. Erano circa tre ore di notte quando si partirono, e cavalcarono tutta la notte gagliardamente, e come cominciò a farsi il giorno si diedero a caminar per traversi e vie disusate, a ciò da nessuno fossero veduti; e così andarono fin a quasi mezzo dì. Egli era del mese di settembre e non faceva molto caldo. E parendo al cavaliero che molto da la sua stanza si fosse dilungato e che potevano i cavalli rifrescare, andò ad un casale che era fuor d’ogni strada commune, e quivi comprato ciò che ai cavalli e loro era bisogno, mangiarono e lasciarono riposar circa tre ore i cavalli, che bisogno ne avevano. Montati poi a cavallo, andarono tre giornate di questa simil maniera e pervennero al piede d’un’alta montagna, che molte miglia era fuor de la strada commune. Il paese era selvaggio e solitario, pieno di varii arbori, di conigli e lepri ed altre salvaticine. Era quivi una capacissima di molte genti grotta, presso a la quale sorgeva una limpida e fresca fontana. Come il cavaliero vide il luogo, e senza fine piacendoli, disse al servidore: – Fratello, io voglio che questa sia la mia stanza fin che questa breve vita mi durerà. – Quivi adunque smontati e ai cavalli levati i freni e le selle, quelli lasciarono andare ove più lor aggradiva, dei quali mai più non si seppe novella, perciò che pascendo l’erbe e da la caverna allontanandosi creder si deve che divenissero èsca di lupi. Il cavaliero, fatto porre in un canto de la spelonca le selle, i freni e l’altre cose, deposti i panni consueti, si vestì col servidore l’abito da romito, e con legni di modo