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novella ii. 27

speranza del primo onore, in modo che il padre ed il figliuolo uno medesimo disio ardeva. Ma la vertù e valore del senescalco e l’esser egli così propinquo al termine, ogni lor speranza, se ve n’era, in tutto troncava. Ora devendo il senescalco correr l’ultima lancia, ed essendo quel dì suso il buon corsiero che il re a la caccia gli aveva donato, e sapendo chiaramente che esso re era d’ardentissimo disio acceso che il figliuolo fosse vittorioso, e conoscendo altresì del giovine l’animo, che per l’onore e per la presenza de l’amata donna tutto di simil voglia ardeva, deliberò di tanto onore spogliarsi, e quello al figliuolo del suo re lasciare. Egli sapeva molto bene che queste sue cortesie non piacevano al re; nondimeno egli era pur disposto perseverando vincer la sua openione, non perchè più roba volesse che il re li donasse, ma solamente per onorarsi ed acquistar fama. E pareva al senescalco che il re li fosse ingrato, non volendo pigliar a grado questi atti generosi che egli usava. Ora avendo a tutti i modi proposto di far di sorte che l’onore restasse al figliuolo del re, posta la lancia in resta, come fu vicino ad incontrarlo, perciò che egli era che incontro gli veniva, si lasciò cascar la lancia di mano, e disse: – Vada questa mia cortesia a par de l’altre, ben che non sia apprezzata. – Il figliuolo del re toccò gentilmente lo scudo del senescalco, e rompendo in mille tronchi la sua lancia fece la decima botta. Molti udirono le parole del senescalco che egli nel gittar in terra la lancia disse, e tutti i circostanti generalmente s’avviddero che egli non aveva voluto colpire per non far l’ultima botta, a ciò che il figliuolo del re avesse l’onore de la giostra, che tanto disiava, onde se ne uscì de la lizza. Ed il giovine, fatte senza troppa fatica le due ultime botte, del premio e de l’onore rimase padrone. E così a suono di mille stormenti musici, con il premio de la giostra che dinanzi se li conduceva, fu per tutta la città pomposamente accompagnato, e tra gli altri il senescalco sempre con allegro viso lodando il valore del giovine l’accompagnò. Il re, che sagacissimo uomo era, e più e più volte già del valore del suo senescalco in altri torniamenti, giostre, bagordi e battaglie aveva fatto esperienza, e sempre trovatolo prudente, avveduto e prode molto de la persona, conobbe troppo bene che il cader de la lancia non era stato fortunevole ma fatto per elezione, e riconfermò l’openione che aveva de la grandezza de l’animo e de la liberalità del suo senescalco. E nel vero grandissima fu la cortesia di Ariabarzane senescalco, in modo che pochissimi, credo, si trovarebbero che volessero imitarlo. Veggiamo tutto il dì molti de li beni de la fortuna esser liberali donatori, e larghis-