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novella ii. 25

re non dispiacesse, il qual non s’era avveduto che il cavallo avesse perduto i ferri. Il senescalco subito che se n’avide smontò a piedi, e fattosi dar da quello che lo seguiva, che per questi accidenti seco conduceva, il martello e le tenaglie, al suo buon cavallo cavò li duo ferri dinanzi per mettergli a quello del re, deliberando poi egli metter a la ventura il suo, seguendo la caccia. Gridato adunque al re che si fermasse, l’avvertì del pericolo ove il cavallo era. Smontato il re, e li duo ferri veggendo in mano al servidor del senescalco, nè altrimente mettendovi cura, o forse imaginando che a simil casi Ariabarzane gli facesse portare o che pur fossero quelli che al cavallo erano caduti, attendeva che quello fosse acconcio per rimontare, Ma come vide il buon cavallo del senescalco senza ferri dinanzi, s’accorse molto bene che questa era una de le cortesie d’Ariabarzane, e deliberò con quel medesimo modo vincerlo ch’egli si sforzava vincer lui, e ferrato che fu il cavallo ne fece dono al senescalco. E così il re volle più tosto perder il piacer de la caccia, ch’esser da un suo servidor vinto di cortesia, avendo riguardo a la grandezza de l’animo di quello, che seco pareva che volesse in fatti gloriosi e liberali contendere. Non parve al senescalco esser convenevol di rifiutar il dono del suo signore, ma quello accettò con quella altezza d’animo ch’egli il suo aveva fatto sferrare, aspettando tuttavia occasione di vincer il suo padrone di cortesia ed ubligarselo. Nè guari dopo questo stettero, che arrivarono molti di quelli che dietro venivano, ed il re, preso un cavallo d’un de’ suoi, a la città se ne ritornò con tutta la compagnia. Indi a pochi dì, il re fece bandir una solenne e pomposa giostra per il giorno di calende di maggio. Il premio che al vincitore si darebbe era uno animoso e generosissimo corsiero, con la briglia che il freno avea di fino oro riccamente lavorata, con una sella di grandissimo prezzo, li cui fornimenti al freno e a la sella non erano punto diseguali, e le redine erano due catene d’oro molto artificiosamente fatte. Copriva poi il cavallo una coperta di broccato d’oro riccio sovra riccio, che a torno a torno aveva un bellissimo fregio di ricamo, a cui pendevano sonagli, nespole e campanelle d’oro; pendeva a l’arcione uno stocco finissimo con la guaina tutta tempestata di perle e pietre preciose, di grandissima valuta, e da l’altro canto si vedeva attaccata una bellissima e forte mazza, lavorata a la damaschina molto maestrevolmente. Erano altresì appresso al cavallo in forma di trofeo poste tutte l’arme che a uno combattente cavaliere convengano, così ricche e belle, che nulla più. Lo scudo era mera-