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d’Enrico di Ragona e sorella del cardinal Aragonese, morto il marito che era duca di Malfi, prese per marito il signor Antonio Bologna, nobile, vertuoso ed onestamente ricco, che era stato col re Federico di Ragona per maggiordomo. E perchè parve che digradasse, le gridarono la crociata a dosso, e mai non cessarono fin che insieme col marito ed alcuni figliuoli l’ebbero crudelissimamente uccisa, cosa nel vero degna di grandissima pietà. Onde, non essendo ancora l’anno che il signor Antonio fu miseramente qui in Milano ammazzato ed avendo il signore Girolamo Vesconte il successo del matrimonio e de la morte questi dì a la presenza di molti nel suo magnifico palazzo de la Casa Bianca, fuor di Milano narrato, io, che già minutamente il tutto dal valoroso signor Cesare Fieramosca aveva inteso, ci composi sopra una novella, la quale ora vi dono, a ciò che talora, quando vi sarete da le publiche faccende ritratto, ben che sempre il vostro ozio sia pieno d’onesti negozii, possiate leggerla e tenerla per memoria di me, che di molto maggior cosa debitor vi sono. Ed a voi mi raccomando. State sano.

Il signor Antonio Bologna sposa la duchessa di Malfi e tutti dui sono ammazzati.


Antonio Bologna napolitano, come molti di voi puotero conoscere, stette in casa del signor Silvio Savello mentre dimorò in Milano. Dopoi partito il signor Silvio, s’accostò con Francesco Acquaviva marchese di Bitonto, che, preso ne la rotta di Ravenna, restò in mano dei francesi prigione nel castello di Milano, e data sicura cauzione uscì di castello e lungo tempo ne la città dimorò. Avvenne che il detto marchese pagò grossa taglia e nel regno di Napoli se ne ritornò. Il perchè esso Bologna rimase in casa del cavalier Alfonso Vesconte con tre servidori, e per Milano vestiva e cavalcava onoratamente. Egli era gentiluomo molto galante e vertuoso, ed oltra che aveva bella presenza ed era de la sua persona assai prode, fu gentilissimo cavalcatore. Fu anco di buone lettere non mezzanamente ornato e col liuto in mano cantava soavemente. Io so che alcuni qui ci sono che l’udirono un giorno cantare, anzi più tosto pietosamente cantando pianger lo stato nel qual si trovava, essendo da la signora Ippolita Sforza e Bentivoglia a sonare e cantar astretto. Ora, essendo egli di Francia ritornato, ove continovamente aveva servito l’infelice