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i cavalieri ch’erano a farli riverenza smontati, e seco e con le belle sorelle per nome del padre cortesemente del loro sponsalizio si rallegrò, ed egli fu da tutti con somma riverenza raccolto. L’accoglienze poi di tutti i cortegiani, e degli altri de la compagnia che da Messina veniva, ai dui sposi e a le spose furono non meno gentili che grate. E così i dui cavalieri e le mogli loro tutti onestamente ringraziarono, ma sovra tutto a l’infante don Giacomo resero quelle grazie che per loro si poterono le maggiori. Di brigata poi s’inviarono verso la città favoleggiando e scherzando come in simili allegrezze si suole. Don Giacomo con piacevoli motti intertenne gran pezza ora la signora Fenicia ed ora la signora Belfiore. Il re, a punto per punto avvisato, quando tempo gli parve, montato a cavallo con la reina e con onorata compagnia d’uomini e di donne, a l’entrare de la città riscontrò la bella schiera che arrivava. Ed essendo già ciascuno smontato a far riverenza al re ed a la reina, furono tutti graziosamente ricevuti. Volse poi il re che tutti rimontassero ed egli si pose in mezzo di messer Lionato e del signor Timbreo. Madama la reina si pose a destra la bella Fenicia e a la sinistra Belfiore. L’infante don Giacomo si mise a paro a signor Girondo. Fecero il medesimo tutti gli altri gentiluomini e gentildonne, venendo tutti di mano in mano con bellissimo ordine, e verso il real palazzo, volendo così il re, tutti se n’andarono. Quivi sontuosamente si desinò e dopo il mangiare, per comandamento del re, a la presenza di tutto il convito, il signor Timbreo narrò tutta l’istoria del suo amore. Cominciarono, fatto questo, a ballare, e tutta la settimana il re tenne corte bandita, volendo che ciascuno in quei dì mangiasse al palazzo reale. Finite le feste, il re chiamò a sè messer Lionato e gli domandò che dote era quella che aveva a le figliuole promessa e che modo aveva di darla. Messer Lionato al re rispose che de le doti niente mai s’era favellato e che egli quella onesta dote darebbe loro che le sue facultà patissero. Disse alora il re: – Noi vogliamo dare a le vostre figliuole quella dote che a noi parrà che a loro ed ai miei cavalieri convenga, e non vogliamo che di più spesa elle vi siano per l’avvenire in conto alcuno. – E così il liberalissimo re, con singular commendazione non solamente di tutti i siciliani ma di chiunque l’intese, fattisi chiamare i dui sposi e le loro mogli, volle che tutti solennemente a quanto mai potessero pretendere di dover avere de la roba di messer Lionato renunziassero, ed a questo egli interpose il decreto regio che ogni atto di tal renunzia confermava. Dapoi senza intervallo, non come