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involasse. Onde chi Fenicia la disse non si discostò punto dal vero, perciò che ella era una fenice che tutte l’altre giovani di gran lunga di bellezza avanzava. Nè ancora men bella presenza dimostrava Belfiore, se non che essendo più fanciulla, tanta maiestate e tanta grazia negli atti e movimenti suoi non aveva. Ora si stette tutto quel dì in gioia ed in festa, e i dui sposi non si potevano saziare di mirare e goder parlando le lor donne. Ma il signor Timbreo era quello che fuor di modo gioiva, e quasi a se stesso non credeva esser là dove era, dubitando non s’insognare, o forse che questo non fosse qualche incantamento fatto per arte magica. Finito quel giorno e venuto il dì seguente, s’apparecchiarono per ritornarsene a Messina e quivi far le nozze con quella solennità che al grado dei dui signori apparteneva. Essi signori sposi prima per messi a posta avevano del successo loro avvisato un loro amico, molto del re domestico, e a lui commesso quanto desideravano che egli facesse. Questi il dì medesimo ne andò a far riverenza al re Piero a nome dei dui cavalieri, e a quello narrò tutta l’istoria de l’amore dei dui cavalieri e quanto dal principio a la fine era successo. Di che il re mostrò non picciola allegrezza. E fatta chiamar la reina, volle che colui intieramente un’altra volta a la presenza di lei tutta l’istoria narrasse. Il che egli puntalmente fece con grandissima sodisfazione e non piccola ammirazione de la reina, che, sentendo il pietoso caso avvenuto a Fenicia, fu astretta per pietà de la giovane a lagrimare. Ora, perciò che a quei tempi nel re Piero più che in tutti gli altri prencipi regnava liberal cortesia, ed era quello che meglio sapeva rimeritar chiunque il valeva, e la reina altresì era cortese e gentilissima, il re a quella aperse l’animo suo e quanto far intendeva le disse. La reina, udendo così magnifica deliberazione, assai commendò il parere la volontà del suo marito e signore. Il perchè, fatto con diligenza metter in ordine tutta la corte e fatti invitar tutti i gentiluomini e le gentildonne di Messina, ordinò alora il re che tutti i più onorati baroni di corte con infinita compagnia d’altri cavalieri e gentiluomini, sotto la cura e governo de l’infante don Giacomo Dongiavo, che era il suo primogenito, andassero fuor di Messina ad incontrar le due sorelle spose. Onde, essendo il tutto alora con bellissimo ordine essequito, cavalcarono fuor de la città, e non andarono un miglio che incontrarono le due spose, che con i mariti loro ed altre assai persone verso Messina allegramente venivano. Come furono appresso, l’infante don Giacomo fece rimontar