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più alta del mondo, e con inganno ti feci veder uno andarle la notte in casa, il quale era uno dei miei servidori. E colui che ti venne a parlare e darti ad intendere che Fenicia aveva l’amor suo altrui donato, fu da me del tutto instrutto e sospinto a farti l’ambasciata che ti fece. Onde fu il seguente giorno Fenicia da te repudiata, e per tal repudio la sfortunata se ne morì e qui fu sepellita. Il perchè, essendo io stato il beccaio, il manigoldo ed il crudel assassino che tanto fieramente e te e lei ho offesi, con le braccia in croce, – e alora di nuovo s’inginocchiò, – ti supplico che de la commessa da me sceleraggine tu voglia pigliar la condecente vendetta, imperò che pensando di quanto scandalo sono stato cagione ho il vivere a sdegno. – Queste cose udendo, il signor Timbreo piangeva molto amaramente, e conoscendo il già commesso errore esser irreparabile e che essendo Fenicia morta non poteva più tornare in vita, pensò non voler contra il signor Girondo incrudelire, ma perdonandogli ogni fallo far che la fama fosse a Fenicia reintegrata e resole l’onore che senza cagione le era con sì gran vituperio levato. Volle adunque che il signor Girondo si levasse in piede, a cui dopo molti caldi sospiri d’amarissime lagrime mischii, in tal forma parlò: – Quanto era meglio per me, fratel mio, che io mai non fossi nasciuto o, devendo pur venire al mondo, fossi nato sordo, a ciò che mai non avessi udito cosa tanto a me noiosa e grave, per la quale mai più non viverò lieto, pensando che io per troppo credere abbia colei morta, il cui amore e le singolari ed eccellenti vertuti e doti che in quella il re del cielo aveva collocate, da me altro guiderdone meritavano che infamia vituperosissima e così immatura morte. Ma poi che così Iddio ha permesso, contra il cui volere non si muove in arbore foglia, e che le cose passate più tosto si ponno riprendere che emendare, io non intendo di te altra vendetta prendere; chè, perdendo amico sovra amico, sarebbe accrescere doglia a doglia, nè per tutto questo la benedetta anima di Fenicia ritornarebbe al suo castissimo corpo che ha fatto il suo corso. D’una cosa ti voglio ben riprendere a ciò che mai più in simil errore non caschi. E questo è che tu devevi scoprirmi il tuo amore, sapendo che io ne era innamorato e nulla di te sapeva, perciò che io, innanzi che al padre l’avessi fatta richiedere, in questa amorosa impresa ti averei ceduto e, come sogliono fare i magnanimi e generosi spiriti, me stesso vincendo, averei anteposto la nostra amicizia a l’appetito mio; e forse che tu, udite le mie ragioni, ti saresti da questa impresa ritratto e non sarebbe seguito lo scandalo che è successo. Ora la cosa