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e castella con amplissima giurisdizione. Ma per le varie mutazioni de l’isola e per le guerre civili erano de le lor signorie decaduti, come in altre assai famiglie si vede. Ora, non avendo mai il buon padre ne la figliuola veduto cosa meno che onestissima, pensò che il cavaliero la lor povertà e presente fortuna a sdegno s’avesse preso. Da l’altro canto Fenicia, a cui per estrema doglia e svenimento di core erano venuti alcuni accidenti, sentendosi a grandissimo torto incolpare, come fanciulla tenera e delicata, e non avvezza ai colpi di perversa fortuna abbandonando se stessa, più cara la morte averia avuto che la vita. Onde, da grave e penetrevole dolore assalita, si lasciò andare come morta, e perdendo subito il nativo colore più a una statua di marmo che a creatura rassembrava. Il perchè fu di peso sovra un letto portata. Quivi con panni caldi ed altri rimedii, dopo non molto, furono gli smarriti spiriti rivocati. Ed essendosi mandato per i medici, la fama per Messina si sparse come Fenicia figliuola di messer Lionato infermava sì gravemente ch’era in periglio de la vita. A questa voce vennero di molte gentildonne parenti ed amiche a visitar la sconsolata Fenicia, e intendendo la cagione del male si sforzavano a la meglio che sapevano di consolarla. E come tra la moltitudine de le donne suol avvenire, sovra così pietoso caso varie cose dicevano e tutte generalmente con agre rampogne il signor Timbreo biasimavano. Erano per la maggior parte intorno al letto de la giovane inferma. Onde Fenicia, avendo ottimamente inteso quello che detto s’era, ripigliando alquanto di lena e veggendo che per pietà di lei quasi tutte lagrimavano, con debol voce pregò tutte che s’acchetassero. Poi così languidamente disse: – Onorande madri e sorelle, rasciugate omai queste lagrime, perciò che a voi non giovano ed a me sono elle di nuova doglia cagione, e al caso occorso niente di profitto recano. Egli è così piacciuto a nostro signor Iddio e conviene aver pazienza. La doglia che io acerbissima sento e che mi va a poco a poco troncando lo stame de la vita, non è che sia repudiata, ancor che senza fine mi doglia; ma il modo di questo repudio è quello che mi trafigge fin su ’l vivo e che senza rimedio mi accora. Poteva il signor Timbreo dire che io non gli piaceva per moglie, e il tutto stava bene; ma col modo che mi rifiuta, io so che appo tutti i messinesi io acquisto biasimo eterno di quel peccato che mai, non dirò feci, ma certo di far non ci pensai già mai. Tuttavia io come putta sarò sempre mostrata a dito. Io ho sempre confessato, e di nuovo confesso, che il grado mio non s’agguagliava a tal cavaliere e barone qual è il signor Timbreo, chè