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di Cardona, e la fanciulla Fenicia si chiamava. Egli, perciò che per terra e per mare fin da la sua fanciullezza aveva sempre il re Piero servito, fu molto riccamente rimeritato; chè oltra gli infiniti doni che ebbe, il re in quei dì gli aveva data la contea di Collisano con altre terre, di maniera che la sua entrata, senza la pensione che dal re aveva, era di più di XII mila ducati. Ora cominciò il signor Timbreo passar ogni giorno dinanzi la casa de la fanciulla, quel dì che la vedeva beato stimandosi. Fenicia, che era, ben che fanciulletta, avveduta e saggia, s’avvide di leggero de la cagione del passeggiar del cavaliero. Era fama che il signor Timbreo fosse uno dei favoriti appo il re, e che pochi ci fossero in corte che valessero quello ch’egli valeva, onde da tutti era onorato. Il perchè Fenicia, oltra ciò che udito ne aveva, veggendolo molto signorilmente vestito e con onorata famiglia dietro, ed oltra questo che era bellissimo giovine e molto mostrava esser costumato, cominciò anch’ella piacevolmente a guardarlo ed onestamente farli riverenza. Il cavaliere ogni dì più s’accendeva, e quanto più spesso la mirava tanto più sentiva la fiamma sua farsi maggiore, ed essendo tanto nel suo core questo nuovo fuoco cresciuto che tutto si sentiva per amor de la bella fanciulla struggere, deliberò per ogni via che possibil fosse averla. Ma il tutto fu indarno, perciò che a quante lettere, messi ed ambasciate ch’egli le mandò, ella altro mai non rispose, se non che la sua virginità ella inviolata serbar intendeva a chi dato le fosse per marito. Il perchè il povero amante si ritrovava molto di mala voglia, e tanto più quanto che mai non aveva potuto farle ritenere nè lettere nè doni. Tuttavia deliberatosi d’averla, e veggendo la costanza di lei esser tale, che se voleva di quella divenir possessore bisognava che per moglie la prendesse, poi che molti discorsi sovra di questo ebbe fatto, conchiuse tra sè di farla al padre richieder per moglie. E ben che a lui paresse che molto si abbassava, nondimeno, sapendo quella esser d’antico e nobilissimo sangue, deliberò non ci metter più indugio, tanto era l’amore che a la fanciulla portava. Fatta tra sè questa deliberazione, ritrovò un gentiluomo messinese con cui aveva molta famigliarità e a quello narrò l’animo suo, imponendogli quanto voleva che con messer Lionato facesse. Andò il messinese e il tutto essequì secondo la commissione avuta dal cavaliere. Messer Lionato, udita così buona nuova e sapendo di quanta autorità e valore il signor Timbreo era, senza altrimenti a parenti od amici chieder conseglio, dimostrò con gratissima risposta quanto gli era caro che il cavalier degnasse seco