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NOVELLA XXII
Narra il signor Scipione Attellano come il signor Timbreo di Cardona essendo col re Piero di Ragona in Messina s’innamora di Fenicia Lionata, e i varii e fortunevoli accidenti che avvennero prima che per moglie la prendesse.


Correndo gli anni di nostra salute MCCLXXXIII, i siciliani, non parendo loro di voler più sofferire il dominio dei francesi, con inaudita crudeltà quanti ne l’isola erano un giorno, ne l’ora del vespro, ammazzarono; chè così per tutta l’isola era il tradimento ordinato. Nè solamente uomini e donne de la nazion francese uccisero, ma tutte le donne siciliane, che si puotero imaginare esser di francese nessuno gravide, il dì medesimo svenarono, e successivamente se donna alcuna era provata che fosse da francese ingravidata, senza compassione era morta. Onde nacque la miserabil voce del vespro siciliano. Il re Piero di Ragona, avuto questo avviso, subito ne venne con l’armata e prese il dominio de l’isola, perciò che papa Niccolò III a questo lo sospinse dicendogli che a lui, come a marito di Gostanza figliuola del re Manfredi, l’isola apparteneva. Esso re Piero tenne molti dì in Palermo la corte molto reale e magnifica, e de l’acquisto de l’isola faceva meravigliosa festa. Dapoi sentendo che il re Carlo II, figliuolo del re Carlo I, che il reame di Napoli teneva, con grossissima armata veniva per mare per cacciarlo di Sicilia, gli andò a l’incontro con l’armata di navi e galere che aveva, e venuti insieme al combattere fu la mischia grande e con uccisione di molti crudele. Ma a la fine il re Piero disfece l’armata del re Carlo e quello prese prigione. E per meglio attendere a le cose de la guerra ritirò la reina con tutta la corte a Messina, come in quella città che è per iscontro a l’Italia e da la quale con breve tragitto si passa in Calavria. Quivi tenendo egli una corte molto reale, e per la ottenuta vittoria essendo ogni cosa in allegrezza ed armeggiandosi tutto ’l dì e facendosi balli, un suo cavalier e barone molto stimato ed il quale il re Piero, perchè era prode de la persona e ne le passate guerre sempre s’era valorosamente diportato, sommamente amava, d’una giovanetta figliuola di messer Lionato de’ Lionati, gentiluomo di Messina, la quale oltra ogn’altra de la contrada era gentilesca, avvenente e bella, fieramente s’innamorò, e a poco a poco così fattamente di lei s’accese, che senza la soave vista di quella nè sapeva nè voleva vivere. Domandavasi il barone il signor Timbreo