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voi digiunarete in pane ed acqua. E questo vi sia per sempre detto, perchè altro motto di questo non vi si farà. – Così parlato, la donzella riserrò il portello e se ne ritornò a la sua signora. Il barone, che si credeva esser venuto a nozze e che, per meglio correr la posta, il matino niente o poco mangiato aveva, a così strano annunzio restò il più stordito uomo del mondo, e quasi, come la terra sotto i piedi mancata li fosse, in un tratto gli fuggirono tutti gli spiriti, e perduta ogni forza e lena si abbandonò e cadde sovra il battuto de la camera, di modo che chi veduto l’avesse l’averebbe giudicato più morto che vivo. Stette così buona pezza, e poi alquanto in sè rivenuto non sapeva se si sognava o pur se era vero ciò che da la donzella udito aveva. A la fine, pure veggendo e per fermo tenendo che come augello in gabbia egli era in prigione, di sdegno e di rabbia pensò morirsi ed impazzire, e lungamente tra sè come forsennato farneticando nè sapendo che si fare, passò tutto il rimanente del giorno passeggiando per la camera, vaneggiando, sospirando, bravando, bestemmiando e maledicendo l’ora e il dì ch’in sì fatto farnetico era entrato di voler espugnare l’onestà de l’altrui moglie. Gli veniva in mente la perdita dei suoi beni che gliene seguiva, avendoli con l’autorità del re messi in compromesso. Lo affligeva sovra modo la vergogna, lo scorno e il vituperio che, sapendosi questo fatto in corte, – chè esser non poteva che da tutto il mondo non si sapesse, – ne aspettava, e pareva talora che il core da due mordenti tanaglie stretto e sterpato gli fosse, di maniera che perdeva quasi in tutto ogni sentimento. Volteggiando adunque per la camera furiosamente, e qua e là dimenandosi, vide a caso in un canto di quella una conocchia carica di lino e il fuso al lino appiccato, e vinto da la còlera fu il tutto per rompere e straziare; pure, non so come, egli si ritenne. Era su l’ora de la cena, quando ritornò la donzella a lui, la quale aprendo il portello salutò il barone e gli disse: – Signor Alberto, io sono venuta a prender il filo che filato avete, a ciò che io sappia che cena vi debbia recare. – Il barone di malissimo talento pieno, con fellone animo, se prima era in còlera, a questo protesto salì in molto maggiore, e cominciò a dirle le maggiori villanie del mondo, che mai a donna di cattiva vita fossero dette, e proverbiare disonestamente la donzella, bravando contra lei come se in libertà e ad alcun suo castello si fosse trovato. La donzella, da la padrona sua instrutta, ridendo gli disse: – Signor Alberto, voi, per la mia fede, avete un grandissimo torto a braveggiare contra di me e dirmi villania. Poi, questi vostri